Quando si deve affrontare l’interessante questione del cambiamento nella pratica del coaching, capita piuttosto spesso, per darsi un tono analitico, di non saper resistere alla tentazione di scomodare il panorama neuroscientifico, ignorando in modo deliberato la fase emozionale di questo affascinante processo. La stesura di questo intervento, invece, nasce proprio dal volersi concentrare sulla tentazione e sul suo potere dinamico, sull’esplodere della voglia di assecondare qualcosa di seducente piuttosto che descrivere una rigorosa sequenza di processi biochimici. Non si fraintenda, nessuno qui ha intenzione di negare nulla, ma semplicemente di prendere le cose per un verso differente: in fondo, il coaching non è forse l’arte di far vedere le persone da diverse prospettive tutte egualmente valutabili?
Lasciando la medicina ai medici e la psicologia agli psicologi, si è deciso di procedere con quei meccanismi associativi tipici dei processi creativi e giungere alla definizione di un simbolo che incarnasse un solido parallelismo tra tentazione e cambiamento. Tra tutti quelli in lizza per questo scomodissimo trono, il premio è stato assegnato all’unanimità al serpente, poiché, aldilà di facili e stantie attribuzioni, questo animale ha racchiuso in sé, nel corso delle ere, significati e parabole molto vicini al comportamento umano davanti al cambiamento, tanto da rappresentarlo con un’approssimazione davvero prossima all’identità. Com’è possibile che due cose in assoluto tanto lontane siano così accostabili?
Camminando dentro il mondo dei serpenti e osservando le loro abitudini è incredibile quante cose richiamino il comportamento umano di fronte o durante il cambiamento. I serpenti, o ofidi per chi desiderasse parlare il linguaggio della scienza, sono dei rettili squamati, privi di zampe, dalla pelle morbida, funzionale al loro movimento, e dallo scheletro flessibile e leggero. Questa descrizione fisica dell’oggetto della nostra attenzione non è un modo di occupar tempo, bensì una radice di studio. I serpenti, infatti, si nutrono di animali vivi, che cacciano silenziosamente e spesso ipnotizzano incutendo loro enorme timore. Attributi, questi ultimi, che possiamo avvicinare al cambiamento, poiché esso si approssima all’essere umano facendo poco o nessun rumore, mentre la mente compie quegli atti abitudinari tipici, per esempio, di un piccolo roditore, che perpetua la sua esistenza in modo meccanico e risponde alle sfide solo quando minano la sopravvivenza. Eccoci quindi lì, da soli, piccoli, indifesi di fronte a un cambiamento che ci fissa, ci sovrasta, ci terrorizza e al tempo stesso ci seduce, incapaci di rispondere in altro modo che con la paralisi, quasi sapessimo quale lunghissima e impervia gestazione potrebbe avere quel processo. Eppure non scappiamo, almeno inizialmente, ma siamo curiosi, incautamente vogliosi di infilare la testa tra le fauci del serpente per ispezionare quella strada, un po’ come quei temerari volatili che azzimano i denti degli alligatori dopo che questi hanno consumato un lauto pasto. Purtroppo, però, tra noi e il cambiamento non è possibile un compromesso.
Il serpente, che a questo punto possiamo cominciare a definire misterioso attore della nostra evoluzione, infatti, si nutre in modo molto particolare: la preda, dopo essere stata paralizzata con il veleno o soffocata, è inghiottita intera e costringe poi l’animale a rintanarsi in un posto sicuro dove digerire per giorni il grosso boccone. Anche in questo caso c’è un interessante parallelismo: il mutamento si insinua nel nostro sangue e diventa un’ossessione paralizzante, ci spezza il fiato e non ci permette di ossigenare le vecchia care e sicure abitudini, ma è, al contempo, una forza flessibile che ci circonda integralmente e si adatta alla nostra dimensione emotiva, per poi cominciare ad agire il modo lento e graduale, sovvertendo le nostre leggi interiori ed erodendo la nostra vecchia figura secondo il retaggio scientifico per cui nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Un processo che implica archi emotivi ampi e una paura dell’ignoto che sarà viepiù corroborata dall’assenza di manifestazioni positive o successi nella parte iniziale, quella di erosione. Chi non sarebbe disposto a resistere a oltranza alla prospettiva di essere digerito?
Più che digerito, come abbiamo visto, il termine corretto è trasformato. Una mutazione che per primo coinvolge il serpente, il quale periodicamente effettua il cambiamento della propria pelle, che sfila come un calzino con lo scopo di rigenerare le squame e favorire il proprio cambiamento dimensionale. Un processo di trasformazione che è stagionale e legato al mutare del contesto di riferimento. Proprio come il cambiamento che si propone agli umani che è stranamente sempre attuale e in linea con i tempi e le necessità che essi impongono. Si cambia la propria pelle per procedere in determinate direzioni per le quali non si riuscirebbe a muoversi con la vecchia, spesso andando avanti e indietro, assecondando tutti i movimenti, spesso ciclici, che ci consentono un vantaggio in termini comportamentali, ambientali, economici o sociali. Quella della muta è una variabile paradossale, poiché innescata proprio dalla nostra adesione al cambiamento precedente. Sembra, in un certo senso, di giungere a definire una strada di vita, la propria strada di vita, come sequenza di cambiamenti o di mancati cambiamenti, in caso di strenua resistenza.
L’ultimo attributo comportamentale del serpente che vogliamo prendere in considerazione è quello del coma letargico. Quando arriva la stagione fredda e l’organismo del rettile sa di non poter sopravvivere alla condizione avversa, s’innesca un processo di blocco delle funzioni a elevato dispendio energetico fino al ripristino delle condizioni ambientali. Proprio come accade ai cambiamenti della nostra esistenza che sanno darci tregua e modo di apprezzare i risultati della nostra adesione non costringendoci a un moto perpetuo, ma lasciando lo spazio affinché la novità diventi abitudine. Il tempo di costruzione dello schema sarà il tempo della maturazione di un nuovo paradigma comportamentale, per cui varrà nuovamente la pena di affrontare la lunga gestazione del processo di cambiamento.
Da questi pochi tratti di comunanza tra la biologia del serpente e quella del cambiamento umano è possibile capire per quale ragione questo essere temuto, rispettato, adorato e vituperato abbia occupato un posto di rilievo nella storia umana. Oltre ai culti ofidici, che veneravano la divinità del serpente come depositario di poteri, le diverse culture gli hanno attribuito, di volta in volta, l’appellativo di simbolo dell’astuzia, della seduzione, della rigenerazione, della fertilità, della protezione della casa, della mistica, della medicina e dell’immortalità. Essendo, il coaching, un fatto eminentemente culturale, quindi, ignorare la potenza biologica e simbolica di questo essere vivente sarebbe stato un errore deontologico.
Infatti, ed è questo il nodo del nostro intervento, il coach deve essere il serpente del suo partner, deve essere i suoi occhi verso le strade del cambiamento, deve essere fonte di paura, di seduzione, di conservazione e di tutti gli elementi emotivi che abbiamo descritto in precedenza, poiché è nella verità delle fasi del cambiamento che transita l’accettazione dello stesso. Se attraverso le nostre tecniche professionali ci arroghiamo la facoltà di nascondere degli elementi sgradevoli ai nostri partner, per puro interesse relazionale, instilliamo nel rapporto il senso del tradimento futuro, poiché non li stiamo aiutando a prepararsi autenticamente alla difficoltà che arriverà, a essere fagocitati e poi trasformati. Il coaching è prima di tutto accompagnamento nella scelta, quindi accompagnamento a guardare cosa riserva il serpente e a volere entrare in relazione con lui con l’obiettivo di acquisire autonomia nell’affrontare la propria muta e la propria periodica rigenerazione e metamorfosi: un’autonomia che è niente di meno che la diffusione per via empirica e sperimentale della cultura del cambiamento di cui i nostri sinuosi e ancestrali rettili sono il simbolo più fulgido.
Dott. Gianni Negrini
Professional Coach