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JAMA pubblica nuovo studio italiano sul CABG

Il bypass aortocoronarico (CABG – Coronary Artery Bypass Graft) è il più comune intervento di cardiochirurgia, rappresenta circa il 25% del totale delle operazioni cardiochirurgiche. Viene eseguito a causa di occlusioni o stenosi (restringimenti) delle arterie coronarie, i vasi sanguigni che portano al cuore l’ossigeno e il nutrimento e consiste nel creare delle vie alternative per permettere al sangue di arrivare correttamente al cuore.

L’expertise maturata dall’équipe di Cardiochirurgia di GVM Care & Research, gruppo ospedaliero italiano, è confluita, dopo 10 anni di studi clinici, nella pubblicazione di un articolo scientifico sul “Journal of the American Medical Association” (JAMA), la più importante rivista medica degli Stati Uniti e tra le più rilevanti al mondo.
Il dott. Giuseppe Nasso, responsabile dell’unità operativa di Cardiochirurgia all’ Anthea Hospital di Bari e il dott. Giuseppe Speziale, responsabile delle Cardiochirurgie di GVM Care & Research, hanno infatti condotto uno studio internazionale multicentrico (in collaborazione con altre strutture ospedaliere) che si è rivelato una pietra miliare nella tecnica del bypass aortocoronarico.

Nato da una collaborazione medica internazionale, il team denominato “Radial Investigators”, di cui il dott. Nasso è uno dei fondatori assieme al prof. Mario Gaudino della Cornell University di New York, ha dimostrato come l’utilizzo dell’arteria radiale nel bypass aortocoronarico risulti estremamente vantaggioso rispetto all’utilizzo della vena grande safena.
I primi risultati dopo un follow-up di 5 anni furono pubblicati sul “New England Journal of Medicine” ed ora gli autori dello studio hanno dimostrato e pubblicato, a distanza di 10 anni dagli interventi, come utilizzare l’arteria radiale per il bypass riduca il rischio di sviluppare nuovi infarti e soprattutto il tasso di mortalità per cardiopatia ischemica nel tempo.

“Abbiamo concluso che questo approccio permette al paziente non solo di vivere meglio nel corso degli anni successivi, ma soprattutto di vivere più a lungo, questo perché si riduce l’incidenza di nuovi infarti e di essere sottoposto a nuove procedure di rivascolarizzazione miocardica – commenta il dott. Nasso –. L’arteria radiale, infatti, al contrario della vena safena, anche dopo tanto tempo rimane funzionante, mentre la vena grande safena tende purtroppo a chiudersi”.

Dott. Giuseppe Nasso & Dott. Giuseppe Speziale

Dott. Giuseppe Nasso & Dott. Giuseppe Speziale

La Redazione

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