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Disturbo Ossessivo Compulsivo: conoscerlo per curarlo

Risalgono al ‘600 le prime descrizioni mediche del Disturbo Ossessivo Compulsivo (DOC) ritraenti pazienti che soffrivano di ossessioni, compulsioni di lavaggio e timori di contagio. Persino in Shakespeare si trova traccia di DOC con Lady Macbeth affaccendata nelle proprie compulsioni di lavaggio esplicitamente connesse al senso di colpa per l’uccisione del re Duncan. Oggi, il DOC popola i salotti delle nostre case attraverso gli schermi delle nostre TV che immortalano storie di vita invalidate e solcate dalla sofferenza che tale problematica comporta. Il DOC si veste di una fenomenologia incomprensibile e “strana” agli occhi di chi non ne soffre, tanto da destare curiosità: di grande successo sono trasmissioni dedicate a tale problematica, come per esempio “Io e le mie ossessioni” o ancora, “Malati di Pulito”. Eppure, chi non ha mai ceduto alla tentazione di controllare i rubinetti del gas prima di uscire di casa? A chi non è mai capitato di riordinare la propria scrivania assecondando una particolare simmetria? Non è poi tanto raro che ci si senta contaminati per essere stati in metro e per questo ci si lavi un po’ più del normale. Molti avranno fatto esperienza occasionale di manifestazioni ossessive, ma solo nella vita di chi ne soffre il DOC ne scandisce pesantemente la quotidianità intaccando il funzionamento della persona in tutte le sue aree, da quella sociale a quella lavorativa, a quella familiare. Tre persone ogni duecento abitanti della Terra soffrono di DOC, senza differenza tra sessi né tra culture. Il disturbo tende a esordire nell’adolescenza, anche se può presentarsi anche in età adulta, cronicizzandosi al punto da trasporsi in sofferenze intense e prolungate.
Il Disturbo Ossessivo Compulsivo rimanda la sua espressione sintomatologica a ossessioni e compulsioni. Con “ossessioni” ci si riferisce a tutte quei pensieri, immagini o impulsi che repentinamente fanno capolino nella mente e la occupano in modo duraturo e continuo, con i loro contenuti ansiogeni, fastidiosi e senza senso. Esempi di ossessioni sono pensieri come: “Potrei infettarmi con il virus Hiv se tocco la porta del bagno della discoteca” o “Non devo pensare al nome delle persone a cui voglio bene in ospedale, altrimenti potrebbero ammalarsi”, “Se non controllo che tutti i file siano chiusi, qualcosa di brutto accadrà”, “Potrei dire qualcosa di brutto senza accorgermene”. A rendere apparentemente più “bizzarra” e tediante la problematica, si aggiungono le “compulsioni”, azioni mentali e comportamentali che si manifestano in risposta alle ossessioni e che ne rappresentano un tentativo di soluzione, solitamente succedute da un senso sollievo temporaneo dal disagio causato dalle ossessioni. Ad esempio, disinfettare le mani con amuchina come risposta all’ossessione “le mie mani sono piene di germi pericolosi” è un tentativo di allontanare il problema della temuta contaminazione; evitare di toccare le maniglie delle porte o portare i guanti rappresentano un tentativo di prevenire la ricomparsa del pensiero di essere contaminato. Oppure, fare una preghiera in risposta all’ossessione “ho pensato un numero che porta male” rappresenta un tentativo di rassicurarsi circa il timore che, per propria responsabilità, possa accadere qualcosa di negativo per sé o altri. Le compulsioni, infatti, si pongono come un tentativo di soluzione atto a neutralizzare la minaccia veicolata dalle ossessioni. Si immagini quanto sarebbe invalidante vivere gran parte della propria giornata con il pensiero ossessivo di potersi ammalare di Aids e trovarsi in un’allerta sostenuta per il timore di poter interfacciarsi a qualche stimolo pericoloso e non riuscire a fare abbastanza per poterlo evitare (es. qualche ago infetto per strada) e sentirsi, poi, una persona indegna per non essere stati abbastanza attenti. Si unisca, poi, la costrizione a dover fare necessariamente qualcosa per neutralizzare e allontanare quel pericolo al punto da ritrovarsi imprigionato in una sequenza di comportamenti ritualistici: controllare ripetutamente la scrivania per sincerarsi che non ci siano aghi o oggetti appuntiti potenzialmente infetti oppure evitare luoghi “minacciosi”, come ad esempio la spiaggia, per evitare di pungersi con qualche ago infetto sotterrato nella sabbia. Nulla deve essere impossibile alla mente ossessiva perché la posta in gioco è troppo alta: si rischia di imbattersi nella colpa deontologica, una colpa che non necessita di una vittima. Basta, infatti, trasgredire una norma morale per tediare e tenere in ostaggio una mente ossessiva con il pensiero martellante: “Come ho potuto fare ciò?”. Sarebbe terribile, una catastrofe, insopportabile tanto che il paziente con DOC si adopera in tutti i modi per evitare di “macchiarsi” di quella responsabilità. Responsabilità che non si limita a essere qualcosa di spiacevole bensì un evento terribile perché richiamerebbe il “meritato” disprezzo e disgusto da parte degli altri, accuse e critiche alle quali il paziente ossessivo risulta essere particolarmente sensibile.

Dott.ssa Annalisa Bello
Psicologa- Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
Scuola Psicoterapia Cognitiva di Roma – www.apc.it

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