Si è tanto discusso su quando richiedere una ecocardiografia ad un soggetto iperteso e su cosa aspettarsi da questo esame, diventato ormai uno dei più utilizzati in cardiodiagnostica, e quindi soggetto a liste di priorità e lunghe prenotazioni. C’è chi propone una selezione molto rigida e stretta di tutte le richieste, c’è chi auspica una apertura massimale a tutti i pazienti ipertesi, ritenendo tutti i dati dell’indagine decisivi per ricavarne la terapia personalizzata del singolo malato. Impostato così il problema si rischia di non risolverlo, essendo entrambe le tesi sostenibili per alcuni punti di vista.
A mio avviso vale la pena ricordare che l’ipertensione arteriosa sistemica di per sé rappresenta una sindrome, ovvero una condizione funzionale dell’organismo umano, che tale rimane fino a quando non provoca un danno strutturale anatomico in qualche suo apparato: rene, retina, cervello, cuore, aorta o vasi arteriosi. La comparsa del danno d’organo segna un punto fondamentale nella evoluzione del quadro funzionale, perché con il danno strutturale esso si trasforma in patologia, ovvero in malattia, a sua volta dotata di evolutività o progressività. Insomma la sindrome ipertensiva si trasforma in cardiopatia ipertensiva, una delle principali contribuenti della insufficienza cardiaca prima, e successivamente dello scompenso cardiaco, seconda forse solo alla cardiopatia ischemica.
La cardiopatia ipertensiva è stata definita la associazione di un elemento funzionale come l’ipertensione arteriosa sistemica, con un elemento strutturale morfologico quale l’ipertrofia miocardica ventricolare sinistra.
Di sicuro, quindi, sapere se un iperteso ha una massa ventricolare sinistra aumentata rappresenta un contributo diagnostico importante: infatti, in caso negativo, egli ha una sindrome funzionale regredibile , ma, in caso positivo, ha una cardiopatia ipertensiva, cioè una malattia evolutiva. Il che non rappresenta una informazione da poco.
I nodi al pettine vengono subito dopo, perché quando si usa un metodo diagnostico, soprattutto di imaging, bisogna essere ben consapevoli dei limiti di affidabilità di quel dato strumentale. E’ vero che la diagnosi di ipertrofia miocardica ventricolare sinistra fatta sull’elettrocardiogramma è tardiva rispetto a quella ecocardiografica (anche se più specifica), ed è ancora vero che sono documentate ampie correlazioni fra i valori strumentali elaborati in vita, applicando una certa formula (di Devereux), e il peso del rispettivo ventricolo riscontrato all’autopsia, ma si tratta pur sempre di misure lineari sull’ecocardiogramma assemblate nella formula ed elevate al cubo, assimilando il volume cavitario del ventricolo sinistro e la sua massa miocardica a due sfere concentriche.
Allora, ampi discostamenti del range di normalità, supportati da una clinica consensuale, si confermano reciprocamente e depongono per una vera ipertrofia. Sono però le modeste eccedenze che vanno considerate con sospetto ed eventualmente verificate con altre tecnologie.
In particolare, va posta attenzione a non considerare assolutamente dimostrativi studi effettuati con questa metodica e indicativi di esigue riduzioni della massa miocardica, spesso poi attribuite alla azione di farmaci assunti nell’intervallo fra i due esami ecocardiografici.
Per concludere questa breve annotazione e ritornare al suo titolo, il supporto della tecnologia strumentale rappresenta un contributo fondamentale all’inquadramento diagnostico, ma si conferma che il buon senso clinico dettato dalla esperienza e dalla prudenza deve intervenire ancora, sia pure in un’epoca di grandi innovazioni strumentali e metodologiche. I vecchi Maestri, che il buon senso clinico cercavano di insegnarci, ne gioirebbero …. noi ci limitiamo ad apprezzare il procedere delle nostre conoscenze, ma con continue verifiche anche delle procedure più entusiasmanti.
Dott. Giancarlo Gambelli
Specialista in Cardiologia
Già Primario Cardiologo Ospedale GB Grassi – Roma