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Emocromatosi e danni tissutali

Il termine EMOCROMATOSI è un’espressione generica per indicare un eccessivo deposito di ferro a livello di diversi tessuti e organi. L’EMOCROMATOSI si riferisce all’espressione clinica del danno indotto nei tessuti dall’accumulo di metallo.

Il ferro è fondamentale per la vita (serve per il trasporto dell’ossigeno nel sangue, per tenerlo depositato nei muscoli, per l’attività respiratoria cellulare e per costruire la struttura di tessuti e organi) ma se in eccesso, può essere tossico o addirittura mortale. Qualsiasi essere vivente, dal batterio all’uomo ha così sviluppato sistemi più o meno raffinati per catturare il ferro dal mondo esterno e utilizzarlo, e dall’altra parte per trasportarlo e tenerlo depositato in una forma non tossica.

Il mantenimento dell’equilibrio corporeo del ferro dipende dalla capacità di fornire il ferro necessario per la crescita e per rimpiazzare quello eliminato con le perdite fisiologiche, quelle mestruali ed in corso di gravidanza ed è strettamente legato alla regolazione dell’assorbimento alimentare a livello intestinale.

L’assorbimento del ferro ha luogo nella porzione prossimale del duodeno, dove cellule specializzate sono disposte in modo da massimizzare la superficie di assorbimento; esso può essere regolato in più maniere:

° dalla quantità di metallo assunto con la dieta, meccanismo conosciuto come “REGOLATORE DIETETICO”: a livello epatico, viene prodotta una proteina di circa 25 aminoacidi, chiamata EPCIDINA, che funziona come un ormone portando un messaggio in tessuti e organi diversi da quello dove viene prodotto e che regola in senso negativo la quantità di ferro dietetico nell’intestino e il rilascio del metallo dai macrofagi. I suoi livelli sono regolati in senso positivo dall’aumento del ferro epatico, mentre l’incremento del fabbisogno marziale per l’eritropoiesi e l’ipossia ne frenano la produzione. La sua sintesi è inoltre stimolata dalla flogosi , ad esempio da lipopolisaccaridi batterici (LPS) attraverso interleuchine soprattutto la IL6. L’Epcidina svolge la sua azione modulatoria legandosi ad un’altra proteina detta ferroportina che regola l’uscita di ferro dalla cellula della mucosa intestinale e dalle cellule “di deposito”. Quando l’Epcidina è presente, si lega alla ferroportina, ne limita la funzione e blocca quindi l’uscita di ferro nel sangue, se è assente accade l’inverso;

° un secondo meccanismo regolatore è quello legato al ferro corporeo totale noto come “REGOLATORE DIPENDENTE DAI DEPOSITI”. E’ in grado di variare la quantità di metallo entro certi limiti: l’assorbimento è modulato da un fattore che lo fa aumentare di 2-3 volte nella sideropenia rispetto alle condizioni di replezione, attraverso un meccanismo molecolare che agisce a livello di programmazione delle cellule duodenali;

° il terzo meccanismo di regolazione noto come “REGOLATORE EMOPIETICO”, non risponde ai livelli di ferro, ma piuttosto modula l’assorbimento del metallo in risposta alle richieste dell’emopoiesi.

Oltre al ferro, sono da ricordare alcuni attori protagonisti del metabolismo del ferro stesso: tra questi il fegato e i macrofagi. Il fegato è la sede principale di deposito di ferro dove giunge dopo essere stato assorbito dall’intestino e proprio per questo è l’organo più precocemente coinvolto nelle malattie da sovraccarico di ferro; i macrofagi sono considerate cellule spazzino che trasportano al midollo osseo il ferro liberato dall’eme degli eritrociti invecchiati consentendone il riutilizzo per produrre nuova emoglobina da incorporare nei nuovi globuli rossi: in questo modo evitano l’accumulo di metallo nelle cellule epatiche.

Diversi sono i meccanismi attraverso i quali l’eccesso di ferro svolge il suo ruolo lesivo: il parenchima epatico è l’organo principalmente coinvolto nelle malattie da sovraccarico di ferro, ma altri tessuti possono essere danneggiati, particolarmente il pancreas, il cuore, le ghiandole endocrine e le articolazioni ma la maggior parte delle conoscenze che riguardano gli effetti dannosi del sovraccarico di ferro derivano dagli studi condotti sul fegato. L’accumulo di ferro conduce nel corso degli anni alla fibrosi e alla cirrosi epatica: la fibrosi può essere considerata come un processo dinamico in cui il fegato reagisce a qualsiasi insulto cronico (infezione da virus dell’Epatite B o C, abuso di bevande alcooliche, sovraccarico di ferro e/o di rame) con una risposta difensiva di tipo riparativo attraverso la produzione e il deposito di sostanza cicatriziale (collagene) che porta alla riparazione della ferita e al ripristino della normale architettura e funzione epatica. Se l’insulto persiste, la produzione di collagene si perpetua cronicamente portando al progressivo sovvertimento dell’architettura e della funzione epatica (Cirrosi). La lesione della cellula epatica, qualunque ne sia la causa, scatena la produzione di radicali liberi che sono coinvolti nello sviluppo della fibrosi, vuoi perché determinano la morte cellulare, vuoi perché attivano alcune cellule particolari presenti nel fegato che, attraverso meccanismi complessi provocano la fibrosi.

Il ferro può quindi indurre la fibrosi:

  • a) direttamente;
  • b) indirettamente, attraverso la morte cellulare ferro-indotta (sideronecrosi);
  • c) con un’azione sinergica con altri fattori come alcool e/o infezione da virus epatitici.

Il sovraccarico di ferro ha anche un’azione lesiva diretta sulle cellule di diversi organi o tessuti attraverso il meccanismo della cosiddetta Lipoperossidazione delle membrane cellulari. Le membrane cellulari sono delle raffinate barriere che permettono il costituirsi di ambienti cellulari adeguati per il funzionamento delle cellule e degli organelli in essa contenuti. La Lipoperossidazione è un fenomeno di invecchiamento naturale della componente lipidica delle membrane cellulari che può essere accelerato da diversi fattori e che ne aumenta la fragilità.

Qualunque condizione che determina un aumentato ingresso di ferro nell’organismo conduce inevitabilmente allo sviluppo di un sovraccarico di ferro. Da un punto di vista generale, il sovraccarico di ferro può essere classificato come primitivo o secondario a seconda che dipenda da un difetto primitivo della regolazione del metabolismo del ferro e del suo equilibrio o sia secondario ad altre malattie ereditarie o acquisite: nel primo caso l’esempio meglio conosciuto è quello dell’Emocromatosi ereditaria in cui il ferro è assorbito in modo eccessivo per un difetto nel controllo del suo passaggio dalle cellule intestinali al sangue. Studi recenti hanno permesso di identificare il gene HFE e la presenza di due mutazioni, C282Y e H63D che alterano la funzione della proteina prodotta da questo gene; nel secondo caso può essere dovuto o associato a difetti nella produzione dei globuli rossi (Anemie Diseritropoietiche), epatopatie croniche di diversa eziologia,  somministrazione di ferro per via parenterale o orale. In alcune di queste condizioni è possibile che vi siano interazioni e sinergismi con le cause primitive dell’accumulo di ferro. La talassemia major e l’anemia sideroblastica sono i due esempi più studiati di sovraccarico di ferro secondario a ripetute trasfusioni di sangue e/o ad alterata produzione di globuli rossi.

Si può sospettare un sovraccarico di ferro quando gli indici biochimici dello stato del ferro sono aumentati; principalmente vanno considerati 3 esami: la sideremia, la percentuale di saturazione della transferrina e la ferritina. La sideremia considerata singolarmente non ha alcun valore nella diagnosi del sovraccarico di ferro ma è un indice obbligatorio da misurare per valutare lo stato di saturazione della transferrina. Nell’approccio alla diagnosi del sovraccarico di ferro bisogna tener conto che: 1) alcuni di questi indici possono aumentare anche in condizioni non legate all’accumulo di ferro; 2) in alcune malattie da sovraccarico di ferro, la saturazione della transferrina e la ferritina possono comportarsi in modo diverso a seconda dei diversi meccanismi responsabili. La saturazione della transferrina corrisponde al rapporto tra la sideremia e la capacità della transferrina di legare il ferro: viene calcolata in basa all’applicazione di una proporzione matematica ( SID:TRANSF. = X:100) e se superiore al 50% è un indice molto attendibile di un sovraccarico di ferro che necessita di approccio terapeutico. La ferritina può essere aumentata anche in una serie di condizioni che non sono associate a sovraccarico di ferro: le infezioni, gli stati infiammatori acuti e cronici, le epatopatie, l’abuso di alcool; valori superiori a 1000 mcg/L si associano spesso a fibrosi e/o a cirrosi epatica. La diagnosi va poi confermata da indagini strumentali come la Biopsia Epatica che permette di accertare in modo inequivocabile la presenza di un eccesso di ferro nel parenchima epatico, di definire la sua distribuzione nel lobulo epatico, di valutare la presenza o meno di danni secondari al ferro o a fattori associati.

La quantità di ferro rimosso con la salassoterapia è un metodo affidabile per definire la reale entità del sovraccarico di ferro, ma non dà informazioni utili per differenziare tra le diverse cause di sovraccarico. Nei soggetti normali la quantità di ferro rimuovibile con i salassi settimanali è inferiore a 1,5 g mentre in condizioni di sovraccarico è maggiore di 5 grammi fino anche a 20-30 g.

Poiché la presenza del ferro nei vari organi è disomogenea, la definizione della quantità e della distribuzione dei depositi organo-specifici può essere fatta soltanto utilizzando metodiche che rivelano direttamente il ferro organico. La biopsia epatica, considerata il gold  standard  diagnostico, ma, per il suo carattere invasivo, poco utilizzabile in modo routinario, è stata affiancata da altre metodiche strumentali non invasive come la Risonanza Magnetica e la Biosuscettometria Magnetica (SQUID): entrambe le metodiche si basano sulla capacità del ferro accumulato nelle cellule di aumentare la suscettibilità magnetica del tessuto esplorato. La RM ci consente di valutare qualitativamente il deposito marziale ma non di quantificarlo. La SQUID è una metodica innocua che misura direttamente le proprietà magnetiche di ferritina ed emosiderina non essendo influenzata da altri fattori e valuta l’accumulo ferroso a livello centrale dell’organo e non solo perifericamente. Si tratta dell’unico metodo non invasivo che sia stato utilizzato per la misurazione del ferro tissutale. Operativo dal 2000, lo SQUID consente di:

  • a) valutare l’efficacia dei chelanti del ferro;
  • b) valutare l’entità del sovraccarico del ferro nell’emocromatosi ereditaria;
  • c) valutare l’entità del sovraccarico di ferro di varia eziologia;
  • d) preparazione al trapianto di fegato e follow-up post trapianto.

In presenza di indici biochimici di ferro aumentati, una volta escluse le principali cause di sovraccarico di ferro secondario, l’indagine diagnostica più semplice è data dall’analisi delle mutazioni del gene dell’emocromatosi (HFE) oggi conosciute: C282Y e H63D. Nel 1996 il gene responsabile della più comune forma di Emocromatosi (HFE) fu identificato da un gruppo americano e con esso la principale mutazione responsabile della malattia (C282Y). Studi genetici hanno dimostrato che tale mutazione sia avvenuta in un singolo individuo e in un suo singolo cromosoma, mutazione che si è poi diffusa attraverso le migrazioni, i matrimoni tra consanguinei e a fenomeni di selezione positiva. E’ stato possibile risalire all’epoca della comparsa di tale mutazione sulla base di calcoli che dipendono da alcune variabili, oggi quantificabili, che hanno definito l’origine della mutazione al periodo della cosiddetta RIVOLUZIONE NEOLITICA, risalente al 4000 a.C., periodo in cui si verificarono una serie di eventi nella storia delle popolazioni come il passaggio da un’alimentazione esclusivamente carnea ad una ricca di cereali che determinò un vero e proprio vantaggio selettivo nei portatori della mutazione proprio perché in grado di assorbire più ferro da una dieta povera rispetto alle necessità. L’analisi molecolare del gene HFE permette di distinguere tra l’emocromatosi e le epatopatie croniche con sovraccarico di ferro secondario, o per definire gli stati in cui le due condizione coesistano.

Il sovraccarico progressivo di ferro, se non trattato conduce ad una serie di danni tissutali diffusi a molti organi ed apparati. Dopo aver analizzato i danni che possono essere provocati nel parenchima epatico con la comparsa dapprima di fibrosi poi di cirrosi e successivamente di cancro, analizziamo quali possono essere gli altri organi interessati dall’accumulo di ferro. Esistono associazioni poco comuni tra l’accumulo di ferro ed alcune patologie; è stata osservata un’associazione tra il sovraccarico di ferro ed alcune malattie neurodegenerative come il Morbo di Alzheimer: il ferro si deposita a livello delle placche senili e prova dell’ipotesi che sia il ferro a promuovere lo stress ossidativo è il rallentamento del processo neurodegenerativo dopo somministrazione di Vit. E e nei pazienti sottoposti a terapia ferrochelante.

La ferritina è presente sia nei tessuti che nel sangue; la ferritina tissutale è composta da due sub unità che si distinguono in base alle loro dimensioni: la subunità L, più piccola, e la subunità H, più grande che si associano tra loro a formare una specie di guscio proteico dove il ferro si deposita e a seconda del prevalere dell’una o dell’altra subunità, il ferro può essere prevalentemente deposto nelle cellule (subunità H) o rapidamente scambiato (subunità L). Recentemente è stata descritta una strana combinazione: l’associazione tra iperferritinemia e cataratta che compare in età precoce. I pazienti portatori di questa patologia ereditaria hanno uno stato di iperferritinemia non associata a sovraccarico di ferro che non si giova del trattamento chelante con salassoterapia, che anzi provoca un’anemia senza alcuna riduzione del valore della ferritina nel sangue e hanno un piccolo difetto nel gene che produce la subunità L e ciò svincola la produzione della ferritina dalla quantità di ferro come avviene normalmente che viene quindi prodotta in eccesso. La patologia si risolve con l’intervento chirurgico.

Gli effetti maggiormente evidenti dell’accumulo di ferro si evidenziano a livello di organi fondamentali per la vita dell’uomo: nei polmoni l’accumulo di ferro sottoforma di emosiderina provoca una rara e grave malattia descritta per la prima volta nel 1864 (EMOSIDEROSI POLMONARE) che può, in età adulta, complicare altre malattie come collagenopatie o cardiopatie e che si giova, a livello sintomatologico, dell’apporto della terapia corticosteroidea e immunosoppressiva anche se può determinare l’exitus per emorragia massiva polmonare.

L’associazione di diabete, cirrosi epatica e colore bronzino della pelle, era nota più di 100 anni fa e questo quadro clinico veniva chiamato “diabete bronzino” per definire la malattia nota oggi come emocromatosi. Tale malattia aveva fino a circa 20 anni fa una frequenza intorno al 50% della popolazione affetta da emocromatosi ereditaria; oggi tale frequenza si è notevolmente ridotta grazie alla sempre maggiore precocità di diagnosi della malattia da sovraccarico di ferro. Le cause del diabete nei pazienti con emocromatosi sono essenzialmente 2:

-INSULINO-RESISTENZA: le cellule epatiche infarcite di ferro sono meno sensibili all’azione dell’insulina per cui divengono incapaci di metabolizzare gli zuccheri;

DANNO PANCREATICO: l’accumulo di ferro nel pancreas porta alla distruzione delle cellule beta-pancreatiche che producono insulina con conseguente ridotta produzione della stessa ed instaurazione di un diabete insulino dipendente.

L’efficacia della terapia ferrodepletiva dipende da quando questa viene instaurata: nelle prime fasi della malattia (INSULINO-RESISTENZA), la terapia con i salassi porta ad un miglioramento rilevante se non addirittura alla normalizzazione delle alterazioni glucidiche; negli stadi più avanzati dove prevale il secondo meccanismo (DANNO PANCREATICO), i salassi raramente portano alla reversibilità completa del diabete, anche se è possibile ottenere nel 50% dei casi una riduzione della quantità di insulina da somministrare.

A livello cardiaco, i danni strutturali e funzionali sono direttamente correlati all’entità del sovraccarico di ferro anche se la diagnosi precoce di tale malattia raramente si traduce in una sofferenza cardiaca. L’accumulo di ferro all’interno della cellula miocardica si accompagna ad un aumento della concentrazione di alcuni enzimi e quindi ad un’esaltata attività di alcune vie metaboliche; ciò comporta una progressiva diminuzione della capacità contrattile del cuore e ad una conseguente tachiaritmia con turbe del ritmo (CARDIOMIOPATIA DILATATIVA). L’ecocardiogramma è da un punto di vista diagnostico l’esame più importante perché evidenzia, nelle varie fasi della malattia, il progressivo ispessimento del setto interventricolare con dilatazione delle camere sinistre del cuore; la precoce instaurazione dei presidi terapeutici consentono un miglioramento del quadro clinico e strumentale.

Il sovraccarico di ferro può determinare danni a livello delle ossa e articolazioni, specie della mano, in particolare a livello della base del I, II, III dito; clinicamente si presentano come un’artrite cronica con rigidità e allargamento delle articolazioni interessate che presentano spesso depositi di ferro nella sinovia e nella cartilagine articolare e fenomeni di degenerazione a livello della cartilagine stessa. I meccanismi attraverso cui il ferro provoca il danno articolare sono principalmente due:

-la produzione di radicali liberi e processi ossidativi;

-la precipitazione intraarticolare di cristalli di calcio attraverso svariati meccanismi. L’esame radiologico costituisce il gold-standard diagnostico che consente di evidenziare le anomalie morfostrutturali dei capi articolari e il deposito di sali di calcio a livello delle cartilagini articolari. La terapia è principalmente sintomatica dal momento che la terapia depletiva ha un effetto incostante.

Il diabete mellito è la principale complicanza endocrina dell’emocromatosi ereditaria. Tuttavia anche altre ghiandole endocrine possono essere interessate dal danno secondario all’accumulo di ferro: l’Ipogonadismo, cioè il deficit della funzione sessuale maschile e femminile, è la seconda manifestazione più frequente nei pazienti affetti da emocromatosi. L’Ipogonadismo è di tipo “centrale”, secondario ad un danno dell’asse ipotalamo-ipofisario cioè delle strutture deputate al controllo e alla regolazione delle gonadi. L’accumulo di ferro determina una ridotta produzione di ormoni che regolano le gonadi e conseguentemente una ridotta produzione di ormoni sessuali maschili e femminili. Tali manifestazioni dipendono dalla rapidità con cui si instaura il sovraccarico di ferro e dalla sua entità, dall’età in cui si instaura, quest’ultimo fattore importante dal momento che in fase precoce la maturazione gonadica è strettamente influenzata dall’attività delle gonadotropine. Clinicamente si manifesta con alterazione dei caratteri sessuali secondari, ridotta fertilità e perdita della libido. In alcuni casi tale complicanza può essere reversibile mediante la salassoterapia, specie in pazienti più giovani; negli stadi avanzati, specie in presenza di un danno definitivo, si deve ricorrere alla terapia ormonale sostitutiva.

Il salasso è la terapia di elezione nell’Emocromatosi; da un lato esso rimuove il ferro contenuto nei globuli rossi, dall’altro stimola l’organismo a produrre nuovi globuli rossi utilizzando il ferro depositato. L’efficacia di tale presidio terapeutico è basata su una serie di dati che sono stati oggetto di ricerca negli anni passati. Con una salassoterapia adeguata (1 salasso a settimana) si ottiene una progressiva riduzione dei valori di ferritina e della percentuale di saturazione della transferrina, indice che testimonia una deplezione dei depositi di ferro in eccesso. La diminuzione della ferritina non è lineare ma talvolta accade che proceda a scalini, con fasi di riduzione più rapida che si alternano a fasi di rallentamento. Valori di ferritina inferiori a 50 mg/L e percentuali di saturazione della transferrina sotto il 30% indicato che non è più depositato ferro in eccesso nei tessuti. In questi casi il paziente viene inserito in un programma di mantenimento variabile da individuo ad individuo che ha lo scopo di mantenere il risultato ottenuto. La salassoterapia evita l’insorgere di complicanze correlate alla malattia se queste non si sono ancora sviluppate, e migliora le condizioni dei pazienti che le presentano garantendo una normale aspettativa di vita, come dimostrato da molti studi clinici.

Vi sono alcune patologie che necessitano di farmaci ferro-chelanti (cioè farmaci in grado di legare ed eliminare il ferro). I principali sono la DEFEROXAMINA e il DEFERIPRONE che si legano al ferro in eccesso consentendone l’eliminazione per via renale e per via biliare ed evitandone l’accumulo.

Da questo quadro, si spera il più possibile esaustivo, si evince come tale patologia sia la malattia ereditaria più comune nel mondo occidentale. Molte persone non hanno alcun sintomo, anche nelle fasi avanzate della malattia; il ferro svolge la sua azione tossica in modo subdolo e lentamente fino a provocare gravi danni d’organo che compaiono dopo i 40 anni di età.

 

Dott. Pietro Falco
Specialista in Ematologia Clinica
Master in Terapia del Dolore
Master in Ecografia Clinica

Co-responsabile Centro Trombosi F.C.S.A. “Casa di Cura S.Marco” di Latina
Specialista Ematologo Ospedale Israelitico di Roma
Specialista Ematologo Poliambulatorio “Fisiomed” di Priverno (LT)

foto.dott.falco

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