La sicurezza e l’efficacia di un farmaco in un determinato paziente non possono mai essere assunte a priori come una certezza, poiché in ciascun individuo si può avere una diversa risposta terapeutica. Per tale ragione, qualunque trattamento farmacologico deve inizialmente essere considerato come un esperimento con un’ipotesi scientifica da verificare, fondata sull’insieme dei risultati emersi dagli studi clinici effettuati nel corso dello sviluppo del farmaco in questione e sui dati derivanti dalla “sorveglianza post-marketing” (farmacovigilanza).
Gli obiettivi primari di un trattamento farmacologico possono essere di tipo strettamente clinico, oppure possono essere correlati solo con la risposta clinica, come nel caso in cui lo scopo della terapia sia quello di intervenire su parametri biochimici come la colesterolemia plasmatica, o fisiologici come la pressione arteriosa. La messa a punto di una terapia individuale per uno specifico paziente richiede la conoscenza delle basi della farmacocinetica e della farmacodinamica. Sono infatti molto numerosi i fattori che possono influenzare la risposta del singolo ad un determinato trattamento farmacologico, come l’età, i disturbi a carico degli organi deputati all’eliminazione dei farmaci (reni, fegato), le interazioni farmacologiche.
La risposta terapeutica individuale può inoltre essere influenzata da un precedente trattamento con lo stesso farmaco o con farmaci analoghi (tolleranza) e da una grande varietà di fattori genetici da cui possono dipendere la cinetica e la tossicità di un farmaco (farmacogenetica) e le reazioni avverse al farmaco stesso.
E’ trascorso più di un secolo da quando Claude Bernard formulò i criteri per la raccolta di informazioni scientificamente valide in medicina sperimentale. Tuttavia, tali criteri hanno trovato scarsa applicazione in terapia: mentre infatti in campo diagnostico ci si avvale normalmente di metodi scientifici sofisticati, le decisioni terapeutiche vengono spesso assunte sulla base delle sensazioni del medico o della consuetudine. Nel corso dell’ultimo trentennio sono stati definiti i principi basilari della sperimentazione clinica e le tecniche per la valutazione degli interventi terapeutici sono state sviluppate a un livello tale che oggi non è più possibile, dal punto di vista etico, un approccio non scientifico alla terapia farmacologica (terapia come arte e non come scienza), anche quando, come nel caso del feto, essa non riguardi direttamente un paziente (adulto o bambino). Al giorno d’oggi, quindi, le decisioni terapeutiche devono essere guidate dalla valutazione oggettiva di un insieme adeguato di informazioni specifiche: la cosiddetta MEDICINA BASATA SULLE EVIDENZE.
Esistono o sono esistite delle barriere concettuali all’affermazione della Farmacoterapia come scienza; la più importante sembra essere stata l’idea dell’impossibilità di controllare un grande numero di variabili nelle diverse patologie e negli effetti dei farmaci: se questo fosse vero, il metodo scientifico non sarebbe applicabile alla farmacoterapia mentre quest’ultima è quella che più facilmente può consentire l’acquisizione di dati utili, in quanto prevede un intervento sul paziente e offre la possibilità di osservare una risposta. Recentemente, è diventato evidente che molti importanti aspetti della malattia non possono essere adeguatamente stimati da dati oggettivi; la tendenza a ignorare o a non dare importanza ai “deboli” dati soggettivi sintomatici, a favore di conclusioni oggettive “forti” ha dato vita ad un’interessante sfida per i ricercatori clinici: rendere oggettive o più “forti” le misurazioni soggettive in modo che siano utili per quantificare le risposte dei farmaci.
Altro ostacolo è stato l’eccessiva importanza attribuita alle tradizionali categorie diagnostiche nelle diverse patologie. Questo tipo di concezione ha spinto infatti la classe medica a pensare alle malattie come a fenomeni statici anzichè dinamici, a guardare ai pazienti con la stessa diagnosi come a una popolazione omogenea e non eterogenea e questo ha portato facilmente ad adottare protocolli terapeutici standard anzichè un atteggiamento che mettesse il medico in condizione di saper riconoscere e affrontare i cambiamenti che eventualmente si fossero manifestati con l’evolvere del processo patologico.
Una terza barriera allo sviluppo della farmacoterapia come scienza è stato il concetto erroneo che i dati di origine empirica fossero privi di utilità in quanto non derivanti dall’applicazione di un metodo rigorosamente scientifico. L’empirismo viene spesso considerato come una pratica fondata sulla mera esperienza; si tratta di una affermazione fuorviante dal momento che la farmacoterapia ha tratto grande vantaggio dalle osservazioni cliniche attente e controllate sull’esito degli interventi terapeutici, poichè l’osservazione della risposta terapeutica ha un ruolo fondamentale nella scelta di una terapia appropriata.
La più importante applicazione del metodo scientifico nella sperimentazione terapeutica è rappresentata dagli studi clinici adeguatamente disegnati e accuratamente svolti.
Gli studi clinici sono ricerche mediche che richiedono la partecipazione di volontari – sia persone sane che malate – per sviluppare e analizzare trattamenti adatti alla prevenzione, alla diagnosi e alla cura delle malattie. Tali studi sono alla base delle decisioni terapeutiche del medico, che, pertanto, deve essere in grado di interpretarne criticamente i risultati e le conclusioni. La probabilità che da uno studio clinico emergano risultati utili è strettamente legata al disegno dello studio che deve prevedere obiettivi ben definiti, la selezione di popolazioni omogenee di pazienti, l’inclusione di gruppi di controllo adeguati e la scelta di parametri significativi e sensibili per la valutazione degli effetti farmacologici osservati. E’ inoltre necessario che le osservazioni cliniche siano espresse sotto forma di dati dai quali poter trarre conclusioni valide.
Il disegno sperimentale degli studi clinici che hanno come scopo il confronto tra diversi trattamenti farmacologici deve possedere requisiti ben precisi:
1 – Gli effetti specifici della terapia, clinicamente rilevanti, devono essere misurati e misurabili. Tra questi effetti deve essere incluso anche il parere soggettivo formulato dal paziente che deve essere valutato dallo sperimentatore in base a parametri oggettivi e essere incluso nell’analisi globale della terapia, e che è importante per modulare la terapia sul paziente e migliorarne la qualità di vita;
2 – La precisione della diagnosi e la gravità della patologia devono essere paragonabili nei gruppi posti a confronto per garantire lo sviluppo di terapie idonee per patologie ancora scarsamente conosciute;
3 – Il dosaggio dei farmaci dovrebbe essere scelto per confrontare l’efficacia a parità di tossicità o la tossicità a parità di efficacia;
4 – I fenomeni di effetto placebo possono confondere gli sperimentatori nell’interpretazione dei risultati degli studi e dovrebbero tenere conto di questa variabile;
5 – L’aderenza al protocollo sperimentale (compliance) dovrebbe essere stabilita prima dell’assegnazione dei pazienti al gruppo di controllo o di trattamento e verificato nel corso dello studio. Una scarsa compliance può sottostimare la reale efficacia di un farmaco o la sua tossicità;
6 – Le dimensioni del campione rappresentano una variabile importante nello studio per stabilire ed evidenziare eventuali differenze statisticamente significative tra i diversi gruppi in esame e stabilire la validità di un trattamento;
7 – Le considerazioni etiche dovrebbero costituire il principale elemento in base al quale scegliere il tipo di controlli, e in quanto tali dovrebbero essere prese in esame esplicitamente.
Esistono diversi tipi di studi clinici. La principale differenza è tra studi osservazionali e interventistici.
Gli studi interventistici richiedono che i partecipanti provino un certo tipo di trattamento aderendo a regole severe definite dal protocollo dello studio
Gli studi osservazionali costituiscono un’alternativa: i partecipanti sono “seguiti” nel tempo per meglio comprendere i fattori di rischio, i possibili effetti dell’esposizione a determinate sostanze, a certi stili di vita, etc. Tali studi, sebbene siano potenzialmente più esposti a confondimenti dei risultati (BIAS), forniscono ugualmente valide informazione per la pratica clinica.
Il processo di uno studio clinico è molto rigoroso e di solito è suddiviso in 4 fasi, in caso di valutazione di un nuovo farmaco. Ogni fase ha uno scopo diverso che aiuta i ricercatori a rispondere a vari quesiti sul trattamento e comporta diversi benefici e rischi per i partecipanti.
FASE I: E’ sicuro?
Questa fase usa dosi basse di un trattamento sperimentale su un gruppo molto piccolo di persone (20-80) per evidenziare gli effetti avversi e valutare la sicurezza. Gli studi fase I permettono di individuare la dose più bassa di farmaco che può essere somministrata senza causare effetti avversi gravi consentendo inoltre di individuare anche la via più sicura di somministrazione. E’ importante sottolineare che questa fase non permette di individuare reazioni avverse gravi perchè coinvolge un numero ristretto di partecipanti ed è potenzialmente la più rischiosa.
FASE II: Funziona?
In questa fase il trattamento è somministrato ad un gruppo più ampio di persone (100-300) per valutarne l’efficacia e stabilirne ulteriormente la sicurezza. I ricercatori cercano prove che il trattamento funzioni e continuano a tenere i pazienti sotto stretta osservazione per registrare qualunque reazione avversa.
FASE III: E’ migliore?
Se un trattamento in genere dipende dalla patologia, allora viene finalmente provato su un ampio numero di persone (1000-3000), di solito in centri di ricerca diversi: questa fase ha l’obbligo di dimostrare, oltre a sicurezza ed efficacia, che il nuovo trattamento sia migliore di quello standard, cioè sia in grado di fornire più benefici che rischi al paziente rispetto al trattamento standard già in uso; se i risultati dello studio sono positivi e il gruppo di ricerca raccoglie prove di efficacia da due diversi studi di fase III allora può fare domanda di commercializzazione all’Autorità competente.
FASE IV: che altro?
Gli eventi avversi gravi e potenzialmente letali di un trattamento nuovo possono essere di difficile individuazione; per questo motivo la ricerca continua a raccogliere informazioni sui benefici, gli effetti avversi e sull’uso ottimale di un medicamento anche quando ne è stata approvata la commercializzazione.
Gli studi clinici vengono effettuati in genere su un limitato numero di pazienti, per periodi di tempo talvolta più brevi di quelli necessari nella pratica e in condizioni che rendono più facile il controllo della compliance. Tali fattori conducono a queste conclusioni:
1) Il medico utilizza i risultati degli studi clinici come razionale per la sperimentazione in ciascun paziente: in particolare, individuare gli effetti terapeutici attesi e quelli imprevisti, e lo stabilire se essi siano effettivamente causati dal farmaco o dai farmaci impiegati sono importanti responsabilità del medico nella supervisione di un regime terapeutico, dal momento che anche se i risultati di una valida sperimentazione clinica di un farmaco portano a chiare conclusioni il medico può formulare soltanto un’ipotesi in quanto un particolare effetto di un farmaco può non emergere nel corso della sperimentazione clinica ed essere riscontrato solo nella pratica medica;
2) Se un effetto previsto non si è riscontrato nel paziente, ciò non significa che tale effetto non si manifesti in altri pazienti. Di altrettanta importanza è il fatto che anche quando una terapia sembra essere efficace e innocua, il medico non dovrebbe attribuire l’intero miglioramento alla terapia prescelta; analogamente, se un effetto sfavorevole o tossico non si presenta in un paziente esso può manifestarsi in altri: per tale motivo, un medico non deve decidere di adottare un determinato protocollo terapeutico sulla base della propria esperienza personale per non esporre i pazienti ad un rischio ingiustificato;
3) Una terapia razionale è basata su osservazioni valutate criticamente. Un approccio scientifico non è meno importante nel trattamento di un singolo paziente rispetto ad una ricerca: in entrambi i casi è il paziente a dover trarne beneficio.
Da questo excursus si evince come la terapia farmacologica costituisca insieme alla ricerca un binomio inscindibile nella adozione di protocolli terapeutici il più possibile personalizzati sulle esigenze del paziente, al fine di garantire il massimo beneficio possibile in termine di risposta alla malattia minimizzando i rischi di eventi avversi.
Dott. Pietro Falco
Specialista in Ematologia Clinica
Master in Terapia del Dolore
Master in Ecografia Clinica
Co-responsabile Centro Trombosi F.C.S.A. “Centro Medical Pontino” di Latina
Specialista Ematologo Ospedale Israelitico di Roma.
Specialista Ematologo Poliambulatorio “Fisiomed” di Priverno (LT)