Centro Borghese di Foniatria, Logopedia, Riabilitazione
Napoli. Milano. Padova. Verona. Genève (Suisse)
Académie International Psycho Audio Phonologie. Ecole Stelior.
Genève (Suisse), Paris et Montélimar (France)
Conservatorio Domenico Cimarosa
Avellino
M. Borghese P.F. Natale E.R. Rullino A. Borghese
Il canto lirico nella riabilitazione dei disturbi autistici e di altre patologie della comunicazione
Introduzione e scopo del lavoro
Nella nostra quotidiana attività diagnostica e terapeutica nei confronti di ritardi comunicativi, del linguaggio, disturbi comportamentali, sensoriali, cognitivi, motori, riferibili al catalogo nosologico foniatrico-logopedico dei disturbi della comunicazione, uno dei problemi di maggiore portata e di sempre più frequente riscontro, è quello dell’assenza del linguaggio.
Il bambino che non parla, rappresenta l’espressione clinica di numerose situazioni di danno organico certamente cerebrale, anzi, per meglio dire, encefalico, laddove per encefalo intendiamo non il solo cervello, ma anche il tronco encefalico e il cervelletto, strutture del sistema nervoso centrale interessate non meno del cervello, ai processi sensoriali, motori, elaborativi, cognitivi, linguistici.
Elemento cardine del trattamento dei disturbi comunicativi, primo tra i quali, l’assenza di verbalità, è l’intervento logopedico, che ormai da tempo, ribadiamo debba possedere i tre fondamentali requisiti di: tempestività, intensività, competenza.
Sulla tempestività e intensività non ci stancheremo mai di richiamare l’attenzione di tutti, visto che -purtroppo- sono ancora numerosi quelli che affermano che spesso “non c’è fretta”, o “è presto” per avviare una presa incarico logopedica; così come altrettanto inopportunamente esistono ancora coloro i quali parlano di “stress da terapia”, suggerendo pertanto incaute riduzioni del numero di ore di trattamento da realizzare.
Per quanto riguarda invece le componenti qualitative e il significato di competenza relativi al tipo di intervento abilitativo, siamo del parere che una sinergia di modalità operative debba essere necessaria per offrire il maggior numero di apporti terapeutici al bambino neuroleso non verbale. Intervento competente e multidisciplinare, per noi significa innanzitutto selezione di singole figure professionali preparate, serie, fortemente dedite al lavoro e all’aggiornamento, per farle operare in piena sinergia, non solo di rispettive competenze, ma anche e forse soprattutto, di reciproco scambio, insegnamento, e quindi apprendimento, di tali competenze. Ciò significa fornire i logopedisti di informazioni teoricamente più appartenenti alle competenze di psicologici, psicomotricisti, educatori, musicoterapisti…; fornire queste altre figure di maggiori cognizioni logopediche…, e così via in un reciproco interscambio e assimilazione di conoscenze.
Proprio l’esperienza che stiamo per descrivere in questo lavoro, identifica una delle situazioni in cui risulta particolarmente necessaria l’attuazione di simili principi e modi di operare, dal momento che ci riferiamo a interventi abilitativi al linguaggio (dunque di matrice logopedica) permeati di componenti e conoscenze musicali, ma comunque e contemporaneamente coinvolgenti aspetti relazionali, sensoriali, motori, teoricamente appannaggio di altri profili professionali.
Studi ed esperienze di riferimento
Condividendo alcuni principi già espressi e realizzati nella pratica dell’educazione musicale, abbiamo voluto applicare procedure simili, anche nel campo della riabilitazione, o ancora meglio, dell’abilitazione al linguaggio in bambini che, a causa di diverse patologie neurologiche centrali, non avevano (o non avevano ancora) sviluppato verbalità.
Tra i presupposti di maggior riferimento per avviare un’esperienza di questo tipo, e collegandoci in particolare a François Delalande, richiameremmo innanzitutto quello secondo cui, un bambino, sin dai primi mesi di vita, se gioca con i suoni, va necessariamente a sottrarre questa attività alla sfera del “rumore”, realizzando in tal modo, una delle abilità percettive fondamentali per la comunicazione, che è la cosiddetta “separazione figura-sfondo”, come peraltro descritto da Jean Piaget quando elencò le tre principali categorie percettive, che sono, appunto, la coordinazione sensomotoria, la separazione figura-sfondo, la costanza della forma.
Ancora Delalande ci ricorda che i bambini producono suoni, con evidente piacere, prima con la voce, poi con tutti gli oggetti che capitano loro tra le mani, ed è così che verso il primo anno di vita amano i cigolii, gli sfregamenti, e possono trascorrere parecchi minuti a strisciare con un cucchiaio su un calorifero o a trascinare una sedia sul pavimento ottenendo delle modulazioni sonore che i genitori non apprezzano sempre nel loro giusto valore. Per Delalande, queste iniziali manifestazioni sensomotorie possono già considerarsi una prima forma di attività musicale, dato che sin dal primo anno di vita, l’attività sensomotoria dà luogo a delle reazioni circolari, per cui un bambino che produce un suono che lo sorprende e lo interessa, si ritrova a ripetere numerose volte il gesto che lo produce, riuscendo finanche a modificare tale gesto per ottenere una gamma di suoni leggermente differenti.
Tutto ciò è descritto per il soggetto normale, avviato verso uno sviluppo sensoriale, cognitivo, motorio, relazionale, al passo con quanto naturalmente previsto per le successive tappe evolutive della sua crescita.
Quando, invece, a causa delle diverse situazioni patologiche che impediscono il prosieguo di tale sviluppo, un bambino resta fermo a un livello prestazionale generale di pochi mesi di età, le uniche manifestazioni sensomotorie che rimangono, sono proprio quelle appena descritte, ed è pertanto su di esse che abbiamo pensato, tra l’altro, di far leva per avviare processi comunicativi basilari per cercare di favorire un’evoluzione verso forme comunicative più sofisticate, tra le quali, se possibile, anche il linguaggio verbale.
Numerose esperienze condotte in asili nido da diversi studiosi della materia musicale, hanno confermato quanto il suono sia un fattore di rinforzo essenziale negli apprendimenti.
Già il solo ascolto musicale stimola abilità cognitive, circuiti psicomotori, sensazioni emotive, funzioni semantiche. I sistemi cognitivi coinvolti, si collegano a loro volta a capacità percettivo-uditive, mnemoniche, analitiche; e le componenti emotive e semantiche sottendono a un migliore accesso verso la conoscenza e l’uso dei segni e simboli.
Le condotte musicali intese anche in senso produttivo, stimolano a loro volta, capacità di esplorazione, di espressione, di organizzazione; con conseguente arricchimento del gioco sensomotorio, simbolico, e del rispetto delle regole.
Casistica personale, materiale e metodi
Già dalla fine degli anni novanta eravamo soliti ricorrere all’utilizzo del ritmo e a forme musicali per indurre produzioni verbali in bambini autistici o comunque con neurolesioni tali da limitare o impedire loro lo sviluppo di linguaggio parlato.
Il semplice battere su tamburi all’emissione di ogni sillaba, invitando i piccoli pazienti a fare altrettanto con un battito per ciascuna sillaba, prima solo nell’ascolto, poi riproducendola all’unisono con il terapista, e poi da soli senza alcun altro concomitante stimolo uditivo, ha rappresentato per molto tempo un supporto utile, piacevole e costruttivo, al lavoro di avvio del linguaggio.
Senza che necessariamente numerassimo i casi, visto che era divenuta prassi in tutte le situazioni, possiamo quindi affermare che le strategie ritmiche, con variazioni delle componenti soprasegmentali in termini di cambi di intensità e di tonalità, hanno sempre favorito visibilmente l’induzione alla fonoarticolazione, laddove il loro mancato utilizzo rendeva spesso più difficile e meno fruttuoso il lavoro di impostazione e assemblaggio di fonemi.
Nel corso degli ultimi dieci anni, la concomitante presenza nella nostra squadra di lavoro, di terapisti che avevano effettuato anche studi musicali, primi tra tutti, le lauree di primo e secondo livello in conservatorio, o che comunque provenivano dal mondo della musica, della danza, del teatro e del canto, frequentato prima, durante e dopo gli studi di discipline riabilitative quali la logopedia, la neuropsicomotricità, le scienze dell’educazione, ha reso ancora più realizzabile un progetto che prevedesse l’inserimento di contenuti artistico-musicali anche più complessi e strutturati, nei programmi di abilitazione-riabilitazione.
Siamo andati, pertanto, oltre il semplice ritmare e cantilenare, pensando di scegliere determinate arie, canzoni, e situazioni musicali particolari, che avessero caratteristiche, quali:
– Contenuti fonemici sillabici elementari, corrispondenti ai primi suoni vocalici e consonantici solitamente proposti nelle fasi iniziali di approccio logopedico a un bambino non verbale.
– Possibilità di rappresentazione in forma quasi teatrale, o comunque includente movimenti di personaggi anche travestiti (del tutto o in parte) come in scena, in modo però iconico, cioè corrispondente a quanto si doveva esprimere.
– Piacevolezza di ascolto e visione, al fine di attirare particolarmente l’attenzione del bambino.
Tra le prime arie liriche individuate come adatte allo scopo, abbiamo selezionato il duetto “Papagena-Papageno!” tratto da “Il flauto magico” di W.A. Mozart, il “Duetto buffo di due gatti” di G. Rossini, l’aria “Saper vorreste” da “Un ballo in maschera” di G. Verdi, e il duetto iniziale “Cinque dieci venti trenta” di “Le nozze di Figaro” di W.A. Mozart. Quest’ultimo, da utilizzare a un fine un po’ più avanzato rispetto alla sola impostazione dei fonemi e delle sillabe, riferendosi in particolare alla identificazione e ripetizione di numeri.
Il duetto tra Papageno e Papagena offre la possibilità di proporre le prime sillabe “PA” “PA” “PA” ripetute più volte, con ritmiche e intonazioni differenti, da una voce femminile sopranile e una maschile di basso, in un contesto allegro e giocoso, sicuramente in grado di attirare maggiormente l’attenzione di un bambino, rispetto al semplice continuo proporgli le stesse sillabe mostrate su cartoncino e ripetute monotonamente alla stessa intensità e frequenza vocale.
Con questo non intendiamo minimizzare l’importanza fondamentale dell’approccio logopedico che prevede l’intervento diretto del terapista posto davanti al bambino, o fianco a fianco dinanzi allo specchio, ancora meglio supportando il tutto con la visualizzazione di un foglio che riporta in bella evidenza le sillabe o i fonemi che gli si stanno proponendo. Abbiamo voluto piuttosto aggiungere, secondo una logica di utilità di un intervento multicanale (visivo, uditivo, emotivo, relazionale), altre condizioni favorenti la percezione, l’assimilazione, l’elaborazione, e poi la ripetizione, del materiale fonoarticolatorio in oggetto.
Stessa esperienza con il duetto di Rossini, eseguito da due terapiste-soprano, con esperienze e competenze canore, che hanno rappresentato, anche in costume, il susseguirsi di “MAO” e “MIAO” al bambino, decisamente attratto, divertito e talvolta affascinato da quella sequenza accattivante, comica e spiritosa, che ripropone tante e tante volte lo stesso verso.
In fondo, è ciò che accade comunque in stanza di terapia, quando quel “MAO” viene fatto ascoltare, vedere, provare, dal terapista viso a viso col bambino, mani sul viso per far cogliere la nasalità del fonema M, oltre a mostrarglielo in forma scritta. Anche in questo caso, l’aggiunta di una rappresentazione simil teatrale, ha costituito un potentissimo rinforzo per l’attenzione, la carica emotiva, il desiderio di partecipazione e riproduzione, da parte dei bambini.
Dell’aria “Saper vorreste” di Verdi, abbiamo utilizzato ai nostri scopi essenzialmente il verso “TRALLALALA” ripetuto più volte, e anche in questo caso, al fine di proporre una sillaba (LA) e un gruppo consonantico (TR di TRA). Tale situazione identifica un livello leggermente più avanzato di difficoltà articolatoria rispetto alle precedenti produzioni con la M e la P, consonanti occlusive rispetto alla modalità articolatoria di L e R, che sono costrittive, quindi di meno facile realizzazione prassica.
Selezionando a campione venti bambini di età compresa tra due e sei anni, affetti da sindrome autistica o altre patologie neurologiche centrali senza specificità di sintomi autistici, che comportavano comunque assenza di linguaggio; e distribuiti nel modo più possibile omogeneo in due gruppi di dieci, abbiamo voluto valutare gli effetti di una terapia logopedica tradizionalmente eseguita (sempre però secondo i nostri criteri di intervento intensivo e precoce) per l’induzione delle prime forme verbali espressive, e quelli di una logopedia con le stesse modalità di realizzazione, ma con il supplementare rinforzo proveniente dall’utilizzo di musica, ritmi e arie liriche, eseguite in forma anche recitata, a volte anche con trucchi e costumi, al fine di rendere molto più accattivante l’atmosfera e le situazioni allestite intorno al bambino.
In ciascun gruppo sono stati inseriti sei soggetti autistici, quattro di sesso maschile e due di sesso femminile, un bambino affetto da distrofia muscolare, e tre “non autistici”, due con esiti di paralisi cerebrale, uno con ritardo secondario della comunicazione.

Non favorevole: nessuna acquisizione verbale, o raggiungimento di sporadiche produzioni fonoarticolatorie. Parzialmente favorevole: acquisizione di parole anche riprodotte spontaneamente, e di frasi contratte. Favorevole: raggiungimento della verbalità, sia pure a livelli inferiori alla norma prevista per età corrispondente.
Risultati
L’integrazione dell’intervento abilitativo al linguaggio, con le componenti musicali che, nel caso di questa specifica esperienza, sono state di tipo operistico, ha sortito una serie di effetti favorevoli riassumibili nei seguenti punti:
– Maggiore accettazione da parte dei bambini, delle iniziative terapeutiche.
– Numero di risultati positivi maggiore di quello ottenuto con i trattamenti senza queste componenti artistico musicali.
– Raggiungimento di recuperi di situazioni che con l’intervento “non musicale e canoro” non avevano o non avevano ancora raggiunto capacità di produzioni verbali.
Considerazioni conclusive
Quanto ottenuto con questa esperienza ritmico-canoro-lirica, riteniamo che rappresenti solo un primo passo verso una più ampia integrazione di simili modalità di intervento con le più note (ma a loro volta lo sono davvero?) modalità di intervento logopedico-educativo-abilitativo nelle sindromi autistiche e in altre comunicopatie gravi, quali i ritardi mentali, gli esiti di paralisi cerebrali; non escludendo dal discorso, le stesse sordità gravi o profonde.
Il materiale artistico presentato in questa casistica, lo abbiamo volutamente circoscritto alle arie e alle opere citate, al fine di rendere il più possibile omogenea la valutazione degli effetti dell’intervento descritto, mettendo a confronto due gruppi molto simili di pazienti.
Nella pratica quotidiana siamo soliti, invece, ricorrere a molto più numerose scelte di arie e brani non solo attinti dalla lirica, ma anche dal rock, dalla leggera, dal rap, quest’ultimo particolarmente utile in determinate situazioni che ci proponiamo di presentare in successivi lavori.
Tenevamo molto ad evidenziare, tra l’altro, un modello di interdisciplinarietà che avesse confini più ampliati verso il mondo dell’arte, e in particolare, quella del melodramma, con tutte le sue implicazioni certamente non solo canore e sonore, ma anche visive, sceniche, emotive.
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Prof. Massimo Borghese
Specialista in Foniatria
Specialista in Otorinolaringoiatria
Milano Verona Padova Napoli Genève (Suisse)
Tel. +39 3404810840
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