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Il linfoma mantellare: nuovi approcci terapeutici

La terapia del Linfoma del Mantello è oggi molto più efficace che nel passato grazie alla recente introduzione di nuove strategie terapeutiche: anticorpi monoclonali, immuno-chemioterapia (immuno-CHT), terapia ad alte dosi con autotrapianto di cellule staminali, nuovi farmaci immunomodulatori costituiscono il nuovo arsenale terapeutico a disposizione dell’Ematologo che ha contribuito a migliorare sostanzialmente la storia naturale e il controllo della malattia nel tempo.

Il Linfoma Mantellare, che costituisce circa il 6% dei Linfomi non Hodgkin, è una malattia linfoproliferativa che si origina dalla espansione incontrollata di una piccola popolazione di cellule B del mantello dei follicoli linfatici, cioè di quella zona linfatica che circonda il centro germinativo da cui originano e proliferano linfociti B sottoposti a stimolazione antigenica.

Nonostante si presenti come un Linfoma indolente, senza sintomi sistemici e con una buona qualità di performance status, racchiude dei caratteri di aggressività che lo rendono poco trattabile con i normali protocolli chemioterapici. Per tale motivo presenta una sopravvivenza inferiore a quella dei classici Linfomi indolenti.

Recentemente è stato introdotto un nuovo sistema di score prognostico definito MIPI (Mantle cell lymphoma International Prognostic Index), che, basato su parametri quali l’età, il performance status, il valore di LDH, il numero di leucociti, permette una stima individuale sulla prognosi del singolo paziente. Approfondimento del MIPI è il MIPI biologico che si ottiene aggiungendo ai precedenti parametri un parametro biologico quale la percentuale di cellule in attiva proliferazione rilevata sul campione bioptico e che permette di precisare ulteriormente la prognosi dei pazienti affetti da tale patologia.

Tutti i linfomi del mantello esprimono un eccesso di Ciclina D1 conseguente alla Traslocazione t(11;14) (q13; q32) e codificata dal riarrangiamento dell’oncogene bcl-1. Tale proteina è importante per la regolazione del ciclo cellulare e determina con la sua presenza un accumulo di cellule linfoidi clonali e sviluppo della patologia.

Dalla combinazione di studi immunologici, citogenetici e molecolari è derivata una definizione più precisa dell’aspetto istopatologico del linfoma che si presenta più comunemente con infiltrazione linfonodale diffusa di piccole cellule clivate.

La presentazione avviene in stadio avanzato (III-IV stadio) nella maggioranza dei casi, con linfoadenopatie multiple, splenomegalia e interessamento midollare con leucemizzazione nel 20-30% dei casi, tipica della fase blastica splenomegalica; tipica è la localizzazione gastrointestinale (poliposi linfomatoide multipla intestinale) e nei tessuti molli.

Sono note due varianti citologiche principali la tipica e la blastica: la tipica è caratterizzata da una proliferazione monotona di linfociti di piccola o media taglia con scarso citoplasma, irregolarità del nucleo, cromatina addensata; la blastica è una trasformazione dei linfomi mantellari con progressione clinica rapida e sopravvivenza limitata.

Nonostante la presentazione clinica indolente tale patologia presenta una maggiore resistenza alle cure standard; alla elevata percentuale di risposte ai regimi chemioterapici convenzionali (60-90%) fa da contraltare una breve durata della stessa con frequente comparsa delle recidive (1-2 anni). Oltre alla sperimentazione di nuovi approcci terapeutici più intensificati specie per i pazienti di età inferiore ai 65 anni, sono stati introdotti nuovi farmaci molecolari appartenenti a differenti classi farmacologiche che hanno mostrato una buona efficacia se utilizzati come agenti singoli nelle recidive con accettabile profilo di effetti collaterali.

Anche nel linfoma mantellare gli schemi immunochemioterapici comprendenti l’anticorpo monoclonale anti-CD20 Rituximab hanno dimostrato maggiore efficacia rispetto alla sola chemioterapia, sia in termini di risposta che di sopravvivenza a lungo termine.

Sono stati impiegati vari schemi:

1) Immuno-CHT con antracicline : R-CHOP

2) Immuno-CHT con analoghi purinici (fludarabina): R-FCM. Per quanto riguarda gli analoghi purinici quali la fludarabina, un potenziale rischio che ne sconsiglia l’impiego in prima linea nei pazienti giovani (di età inferiore a 65 anni) potenzialmente candidati ad una intensificazione precoce con autotrapianto di cellule staminali emopoietiche, è la possibile tossicità sulle cellule staminali midollari, il che detetmina un’inferiore probabilità di mobilizzazione di cellule staminali emopoietiche.

3) Immuno-CRT R-Bendamustina; le sperimentazioni condotte con questo protocollo hanno mostrato una buona efficacia con ottimo profilo di effetti collaterali, tanto da renderla applicabile specie nei pazienti non elegibili a regime chemioterapici particolarmente aggressivi come gli anziani.

4) Immuno-CHT + intensificazione con Citarabina ad alte dosi, purging in vivo ed autotrapianto di cellule staminali.

L’immunochemioterapia si è dimostrata più vantaggiosa della sola chemioterapia e l’aggiunta di Rituximab ha mostrato vantaggi in tutte le fasi del trattamento; tuttavia risultati più duraturi, specie in termini di sopravvivenza libera da malattia,e in pazienti di età inferiore ai 65 anni si sono ottenuti associando ai regimi immunochemioterapici, protocolli che prevedevano l’utilizzo di regimi terapeutici intensivi con successiva mobilizzazione e raccolta di cellule staminali emopoietiche che venivano rese “lymphoma free” mediante il purging in vivo (somministrazione di Rituximab prima della raccolta delle cellule staminali, solitamente al giorno +9 dopo il ciclo chemioterapico) e trapianto autologo. Questo regime ha consentito di ottenere il 90% di risposte complete a livello clinico e molecolare e una sopravvivenza libera da malattia a 6 anni pari al 66%.

Le nuove conoscenze sulla biologia e sulla patogenesi del linfoma mantellare hanno costituito le basi per l’introduzione di nuovi farmaci a bersaglio molecolare per la terapia di questa patologia.

Bortezomib (Velcade) inibitore del proteasoma, cioè del sistema cellulare deputato alla degradazione delle proteine presenti all’interno della cellula. Associato al Rituximab consente di ottenere fino al 65% di risposte nei pazienti trattati. Tale combinazione costituisce una possibilità terapeutica per i linfomi mantellari recidivati.

Lenalidomide (Revlimid) che ha mostrato un’ottima efficacia nei pazienti con Linfoma Mantellare recidivato o refrattario, permettendo di ottenere ottime risposte globali; tuttavia i suoi effetti collaterali prettamente di tipo ematologico come neutropenia e piastrinopeniaimpongono frequenti controlli per monitorarne la tossicità ematologica. Il meccanismo di azione del farmaco nell’ambito di questa patologia non è stato completamente chiarito: tuttavia sembra fondamentale un’azione di tipo immunologico attraverso la quale il farmaco stimolerebbe il sistema immunitario del paziente ad aggredire le cellule linfomatose. A questo meccanismo sembrerebbe collegato il fenomeno del “tumor flare” cioè un iniziale ingrossamento dei linfonodi patologici in seguito alla terapia con Lenalidomide che precede la loro effettiva riduzione.

Temsirolimus appartenente ad un’altra classe di farmaci attivi sul linfoma mantellare: gli inibitori di mTOR che ha mostrato un’efficacia nel 20-30% dei pazienti affetti da linfoma mantellare in recidiva.

La Bruton’s Tirosin-Chinasi (BTK), un componente essenziale del pathway del recettore delle cellule B è stata riconosciuta essere un elemento importante nella patogenesi di patologie linfoproliferative come il Linfoma Mantellare. L’efficacia di Ibrutinib il primo inibitore di BTK ad essere sperimentato è stata riportata in uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. Il tasso complessivo di risposte osservate è stato del 68% con limitata tossicità ematologica.

Questi risultati costituiscono un ulteriore passo in avanti nella gestione delle emopatie maligne, in evoluzione da un approccio basato sulla chemioterapia verso trattamenti mirati sui meccanismi biologici di base della genesi e della progressione della malattia.

Dott. Pietro Falco
Specialista in Ematologia Clinica
Master in Terapia del Dolore
Master in Ecografia Clinica

Co-responsabile Centro Trombosi F.C.S.A. “Centro Medical Pontino” di Latina
Specialista Ematologo Ospedale Israelitico di Roma.
Specialista Ematologo Poliambulatorio “Fisiomed” di Priverno (LT)

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