Correva l’anno 1816, quando l’attenzione di René Théophile Hyacinthe Laennec fu attratta da alcuni ragazzi che, con l’orecchio appoggiato all’estremità di lunghi pezzi di legno, ascoltavano il suono trasmesso da piccoli colpi dati all’estremo opposto.
L’indomani Laennec, nella sua clinica presso l’ospedale Necker, a Parigi, arrotolò un foglio di carta, lo legò con un filo in modo da conservare un canale centrale e lo applicò sul torace di un malato in corrispondenza del cuore.
Era nato lo stetoscopio, che ben presto venne sostituito da un cilindro di legno lungo 30 cm con un canale centrale di 5 mm.
Tre anni più tardi venne pubblicata la sua opera “De l’auscultation médiate”.
Con questo libro, soprattutto con la II Ed del 1826, “Traité de l’auscultation médiate e des maladies des poumons e du coeur”, la clinica entrò nell’era moderna e l’esame obiettivo del malato, dopo la ispezione, la palpazione, la percussione, si arricchì della quarta fase, l’auscultazione, la più ricca e la più difficile.
Per tutto il secolo scorso l’iconografia classica del medico, il carattere distintivo nel bene e nel male di questo personaggio, è stato il fonendoscopio (stetoscopio modificato per comodità di impiego e per potenziamento del segnale trasmesso ad entrambe le orecchie, anziché ad uno solo).
I reparti ospedalieri e le cliniche universitarie erano le fucine in cui studenti e giovani medici affinavano i loro sensi alla ricerca della diagnostica differenziale; dalle tasche dei loro camici occhieggiava sempre lo strumento dedicato all’atto qualificante diagnostico, quando addirittura non veniva ostentato sulle spalle intorno al collo. Era sempre pronto per un impiego improvviso o per confortare o meno un giudizio discusso, o semplicemente per trasmettere serenità e protezione ad un malato ansioso.
Verso la fine del 1900, però, lo sviluppo tecnologico e le varie tecnologie di imaging hanno stravolto l’approccio del medico alla malattia del suo paziente: “caro signore, sul suo torace si ascolta un soffio cardiaco, si faccia fare un’ecocardiografia e vediamo cosa vien fuori”- una sorta di Kabala o di pesca della fortuna.
Tutta la cultura, l’esperienza, la sensibilità necessarie per una diagnosi differenziale sono superate e accantonate; ora serve l’impersonale impiego di uno strumento che offra un’immagine, spesso capace anche di quantificare l’entità un determinato disturbo.
Allora ecco sparire dalle tasche del camice medico lo stetoscopio, sostituito dal computer tascabile; dalla sua scrivania scompaiono i trattati di fisiopatologia e di clinica, sostituiti dai compendi di impersonali linee-guida.
Il prezzo pagato per tanta fredda asetticità di giudizio, però, non è stato da poco: è sparita anche quell’aureola di rispetto, di ammirazione, di saggezza, quel carisma che circondava il medico con lo stetoscopio.
Prof. Giancarlo Gambelli
Specialista in Cardiologia
Già Primario Cardiologo Ospedale G.B. Grassi – Ostia (Roma)