La fibrillazione atriale (FA) è presente nel ½% della popolazione generale, rappresentando l’aritmia più frequente. Anche la malattia coronarica, malgrado la diminuzione della mortalità, continua ad essere la principale causa di morte e di peggioramento della qualità della vita. Queste due entità morbose frequentemente coesistono e si calcola che circa il 30% dei pazienti con FA soffrano anche di malattia coronarica. La presenza contemporanea nel paziente di queste due condizioni aumenta il rischio trombotico: ictus e sindrome coronarica acuta. Si pone quindi il quesito di come trattare al meglio questo tipo di pazienti.
Ultimamente, le manifestazioni acute della malattia coronarica sono trattate con terapia antipiastrinica ed anticoagulante e con stent di ultima generazione (DES). La terapia anticoagulante oggi può avvalersi di nuovi farmaci per via orale non anti vit k che bene preservano dall’ictus i pazienti con FA. Tuttavia sorgono nuovi problemi. Anche i nuovi stent che rilasciano farmaci antiproliferativi possono andare incontro a trombosi in quanto le sostanze antiproliferative che rilasciano inibiscono la risposta riparativa e ritardano il processo di endotelizzazione del vaso, facendo perdurare le reazioni protrombotiche ed infiammatorie; è necessaria pertanto una terapia adeguata e decisa. Per far ciò, è necessario considerare che la formazione del trombo ha un meccanismo diverso per la FA e l’insufficienza coronarica acuta. In quest’ultima, la trombosi arteriosa è dovuta alla erosione dell’endotelio od alla rottura della placca con la conseguente esposizione al flusso sanguigno di materiale trombogenico dal nucleo lipidico della placca, ricco di cellule che producono il fattore tessutale (TF) il quale, insieme al connettivo della matrice tessutale ricco di collageno, iniziano la coagulazione. Il fattore tessutale forma un complesso con il fattore di coagulazione VIIa che attiva i fattori XI e X con la conseguente formazione di trombina la quale, ulteriormente, attiva ed aggrega piastrine. La trombina sulla superficie delle piastrine attiva i fattori V,VIII, e XI. A questa fase di amplificazione segue una terza fase di propagazione nella quale i fattori attivati VIII + XI e V + X accelerano la formazione del fattore attivato X e di trombina. Il rilascio concomitante di sostanze vasoattive accelerano la formazione di trombo ed inducono vasocostrizione con il risultato di ischemia miocardica che si manifesta clinicamente nella sindrome coronarica acuta.
Nell’infarto miocardico con sopraslivellamento del ST, il trombo chiude completamente il lume coronarico, è ricco di piastrine, è esteso e suscettibile alla terapia fibrinolitica. Viceversa, nell’infarto miocardico senza elevazione del ST e nell’angina instabile si riscontra una trombosi murale con minima propagazione. Questi trombi sono ricchissimi di piastrine e rispondono molto poco alla terapia fibrinolitica.
In contrasto alla trombosi arteriosa, base della sindrome coronarica acuta, nella quale il ruolo delle piastrine è prevalente, nella fibrillazione atriale il trombo è molto ricco di fibrina ma con meno piastrine; ciò spiega la buona efficacia del warfarin e dei nuovi anticoagulanti orali per la profilassi dell’ictus. Questi due distinti meccanismi patogenetici spiegano il perché i pazienti con FA e malattia coronarica, per avere una adeguata protezione da complicazioni tromboemboliche hanno necessità di terapia antipiastrinica e di terapia anticoagulante orale. La terapia attuale è una terapia “ tripla” con due antipiastrinici e con anticoagulanti orali; il pericolo di emorragia è però aumentato. Pertanto è necessario stabilire con maggiore precisione il rischio di ictus e di emorragia nei pazienti affetti da FA e da sindrome coronarica acuta sottoposti alla terapia sopra indicata. La stratificazione del rischio di ictus nei pazienti con FA si basa su un punteggio così elaborato: insufficienza cardiaca/disfunzione del VS 1- ipertensione 1- età > 75 a. 2 – diabete 1- ictus/TIA 2- malattia vascolare 1-età 65/74 1-sesso femminile 1.
Rischio da moderato ad alto: punteggio > 2
Stratificazione del rischio di emorragia nei pazienti con SCA è la seguente: ipertensione > 160 mmHg 1-
Alterazione della funzione renale o epatica 1 o 2 – ictus 1 – tendenza ad emorragia 1 – INR oscillante 1 – età > 65 a. 1 – farmaci antipiastrinici o antiinfiammatori, eccesso di alcool 1 o 2.
Rischio da moderato ad alto: punteggio > 3
I pazienti con FA e infarto miocardico senza sopraslivellamento ST, secondo le attuali linee guida, sono trattati con angioplastica coronarica della lesione responsabile. Tuttavia, pazienti con SCA senza sopraslivellamento ST e con FA rappresentano una popolazione eterogenea in termini di rischio e prognosi e comprendono anche pazienti a basso rischio che possono avvantaggiarsi di un trattamento non invasivo.
L’individuazione di questi pazienti a rischio medio-basso per ictus ed emorragia può farsi con i sistemi di punteggio sopra indicati con sufficiente precisione. Per la prevenzione dell’ictus la terapia consigliata consiste nella somministrazione di due farmaci antipiastrinici: aspirina (75-100 mg/die) e clopidogrel (75 mg/die) + anticoagulanti orali ( terapia triplice). I pazienti a basso rischio di emorragia (punteggio < 3) dovrebbero essere trattati con terapia triplice per sei mesi, seguita da terapia con anticoagulanti orali per altri sei mesi + un unico farmaco antipiastrinico (aspirina o clopidogrel), seguita, sempre, da terapia con anticoagulanti orali. I pazienti ad alto rischio di emorragia (punteggio > 3) possono essere trattati con terapia triplice o duplice per undici mesi ed, in seguito, da monoterapia con anticoagulanti orali di recente generazione ( non anti vit k). Particolare attenzione alla protezione gastrica ed al INR (2-2.5).
La mancanza di trials randomizzati e di adeguata ampiezza che paragonino le diverse strategie terapeutiche antitrombotiche in questo tipo di pazienti rende inevitabile la scelta di una terapia personalizzata. Come precedentemente sottolineato i meccanismi patogenetici alla base del processo aterotrombotico sono plurimi e pertanto la terapia deve inevitabilmente basarsi su diversi agenti e pertanto le complicazioni emorragiche sono abbastanza frequenti e costituiscono un pericolo insidioso.
Prof. Giorgio Biffani
Cardiologo
Casa di Cura Pio XI
Via Aurelia, 559
00165 Roma
Già Primario Cardiologo del Servizio di Emodinamica dell’Ospedale San Camillo di Roma