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La malattia psichiatrica in adolescenza: conoscerla e intervenire

Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, la malattia psichiatrica si manifesta in bambini e adolescenti con una prevalenza pari al 7-10 %. In particolare, Il 75 % dei disturbi mentali si manifesta in maniera evidente entro i 25 anni e la maggior parte di essi ha origine in adolescenza (Patel, Fisher et al. 2007).

Se consideriamo la realtà italiana,  recenti dati epidemiologici (Studio Prisma, Frigerio et al., 2009) riportano che l’8% dei ragazzi/e preadolescenti presenta problematiche psicologiche con una prevalenza delle difficoltà affettive (6,5% dei casi) rispetto alle difficoltà comportamentali. Più in particolare, nello studio vengono riportate le seguenti percentuali: disturbi d’ansia (7%); disturbo depressivo meno dell’1%; disturbo da deficit d’attenzione/iperattività (ADHD) meno del 2%; disturbo della condotta 1% circa.

 La percentuale di rischio psicopatologico sembra inoltre aumentare nelle diverse fasi evolutive (Roberts, 1998) con una prevalenza dei disturbi psicopatologici pari al 10 % in età scolare, al 13,2 % in età preadolescenziale e al 16,5% in adolescenza. Questi dati risultano  d’interesse nella misura in cui testimoniano, dal punto di vista evolutivo, una continuità, tra difficoltà psicologiche dell’età infantile e quelle dell’età adulta. In altri termini, molti degli adulti con disturbi psichiatrici presentavano già un disturbo più o meno importante prima dell’adolescenza e  molti dei ragazzi con difficoltà psicologiche segnalate/non segnalate prima dell’adolescenza svilupperanno un disturbo psichiatrico in adolescenza e/o in età adulta. E’ solo per pregiudizio, quindi, se la malattia mentale è ritenuta esclusiva dell’età adulta. L’adolescenza e la preadolescenza rappresentano infatti “periodi sensibili” rispetto all’insorgenza di malattie mentali. Proprio questa fase di vita è infatti quella in cui il cervello va incontro ad una forte spinta maturazionale con i lobi frontali che si avvicinano al loro massimo sviluppo, che si realizza poi tra i 20 e i 30 anni. In termini comportamentali quindi, si tratta di una fase in cui le risorse di controllo e/o inibizione degli impulsi non sono ancora completamente sviluppate. Ciò inevitabilmente rende l’adolescente e/o il preadolescente “vulnerabile” all’esordio di un disturbo psichiatrico.

E’ infatti ormai riconosciuta dalla moderna psicopatologia dello sviluppo (Cummings et al., 2000) la necessità di considerare i disturbi psicopatologici come il risultato di una causalità multifattoriale e come il frutto dell’interazione di molte variabili nell’arco dello sviluppo. Le variabili in questione possono essere definite come fattori di rischio e fattori di protezione.

I fattori di rischio sono innanzitutto biologici: la malattia mentale infatti ha una base biologica. Per esempio, il fattore genetico e, quindi la familiarità per un disturbo è uno dei principali fattori di rischio. Avere un parente di primo grado con malattia mentale ci espone al rischio di sviluppare noi stessi un disturbo. Ulteriori fattori di rischio consistono in difficoltà emozionali relate per esempio a esperienze di abuso nell’infanzia, problemi interpersonali quali l’isolamento e/o una chiusura relazionale rigida ed eccessiva, circostanze familiari come la bassa classe sociale di appartenenza e/o i conflitti familiari, eventuali problemi scolastici.

Esistono poi degli interventi positivi che chiameremo di protezione biologica, delle aree su cui è possibile agire per modificare uno status quo; ad esempio, si potrà far raggiungere al bambino/adolescente il suo massimo sviluppo cognitivo, una buona condizione fisica, un buon funzionamento scolastico e, dunque, una buona autostima A tal fine, il ruolo delle agenzie educative – famiglia e scuola su tutte – hanno un compito molto importante.

Vi è poi un campanello d’allarme che riguarda la sfera dei fattori sociali. L’uso dei cannabinoidi inteso come “automedicazione” si sta diffondendo con ripercussioni negative sulla salute psicologica e sul funzionamento neuro cognitivo degli adolescenti.

Nel complesso, tali dati ci consentono di sostenere senza dubbio la necessità di interventi medici specialistici che considerino il quadro clinico presentato dal bambino e/o dall’adolescente sia dal punto di vista della definizione diagnostica e dei trattamenti che per quanto riguarda la gestione di eventuali condizioni di massima gravità ed emergenza. Accanto a questi risultano tuttavia parimenti necessari inoltre interventi da svolgersi nei contesti di vita del bambino/adolescente (es. scuola, famiglia) al fine di promuovere abilità sociali emotive e comportamentali che possano preservarne il benessere psicologico.

In tale ottica, si rivela decisivo l’apporto della psicoterapia cognitivo-comportamentale quale strumento volto a supportare l’adolescente nella ristrutturazione di quelle credenze disfunzionali relative al proprio sé e alla relazione con gli altri che ne minano significativamente i livelli di adattamento psicologico e occupazionale determinando il cronicizzarsi di alcuni sintomi. La psicoterapia cognitiva è indicata tanto per i quadri sintomatici gravi, nell’ambito ovviamente di un approccio integrato che preveda il coinvolgimento di altre figure (es. psichiatra), quanto nella risoluzione di disagi psicologici transitori o reattivi ad esperienze traumatiche prevenendo dunque il loro tramutarsi in condizioni psicopatologiche vere e proprie.

Dott.ssa Maria Pontillo
Psicologa-Psicoterapeuta
Docente presso la Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Cognitiva dell’Associazione di Psicologia Cognitiva

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