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La psicologia e la psicoterapia del perdono

Lo studio scientifico dei benefici psicologici del perdono ha avuto un grande slancio soprattutto negli ultimi trent’anni. Da questi studi hanno avuto origine anche dei protocolli di trattamento psicoterapeutico mirati a incrementare il perdono interpersonale (e il perdono di sé) come via d’uscita dalla sofferenza psicologica. Quest’ultima è determinata dall’idea che si stia subendo, o si sia subito, un torto ingiusto, la convinzione che qualcuno abbia violato i nostri diritti o i principi in cui noi crediamo: ci feriscono profondamente parole, gesti, comportamenti che violano le norme e i valori per noi importanti.

Ma anche il modo in cui è stata perpetrata l’offesa ha una sua rilevanza, infatti conta molto quanto siamo convinti che il comportamento offensivo dell’altro sia stato intenzionale: Quanta responsabilità ha l’offensore? L’ha fatto apposta? Infatti, quando una vittima pensa che l’offensore sarebbe stato perfettamente in grado di controllare il proprio comportamento, e invece non lo ha fatto, tende a esperire più rabbia. Si tratta di un comportamento malevolo, in cui l’offensore consapevolmente mirava a far soffrire l’Altro? Altre variabili che possono incrementare il peso dell’offesa, è se essa viene ripetuta più e più volte, se chi la commette è una persona vicina, e se lede gravemente la dignità, il rango a cui si ritiene di appartenere. Infine, il fatto che chi ci ha offeso non riconosca il danno compiuto, e che non chieda scusa per la propria azione, aumenta il peso dell’offesa.

È noto che, alle offese percepite come gravi si tende a reagire, istintivamente, con l’odio e la vendetta, oppure con l’evitamento e la fuga, due reazioni che, purtroppo, pur messe in atto nella convinzione di poter essere risolutive, tendono a peggiorare la sofferenza della vittima dell’offesa. In pratica, i tentativi di soluzione diventano problemi: ecco l’opportunità di considerare il perdono come possibile via d’uscita dalla sofferenza.

Il perdono, infatti, è una delle possibili reazioni a un’offesa, e consiste nella rinuncia all’odio, alla rabbia, al risentimento, pur avendo tutti i diritti a provare queste emozioni, a causa dell’offesa che si è subita. Possiamo considerarlo come un dono, proprio perché è qualcosa che viene offerto all’offensore senza che quest’ultimo lo meriti. Il motivo per il quale può essere utile la strategia del perdono è che ci fa stare meglio: le ricerche scientifiche sugli effetti del perdono dimostrano che perdonare contribuisce al benessere psicofisico: chi perdona di più è anche meno ansioso e meno depresso. Inoltre perdonare migliora la qualità del sonno, contribuisce ad abbassare la pressione arteriosa, diminuisce il rischio di abuso di alcool o di sostanze, consente di avere relazioni interpersonali più soddisfacenti. In poche parole, perdonare migliora la qualità della vita.

Chi si vendica invece, pur facendolo nella speranza che il proprio gesto possa portare a un ristabilirsi della giustizia, a chiudere l’esperienza dolorosa, in realtà si trova incastrato in una spirale di sofferenza. Infatti le ricerche dimostrano che vendicarsi porta a un prolungamento delle emozioni negative: ci si vendica nell’illusione di “chiudere il cerchio”, ma ci si ritrova proprio nella condizione opposta.

La psicoterapia può avere un ruolo fondamentale nell’aiutare le persone ad abbandonare le ruminazioni rabbiose e depressive: si può imparare, infatti, a non ruminare, a “lasciar andare”. Ma in cosa consiste la ruminazione? Nel pensare continuamente a cosa è accaduto, perché l’altro ha fatto ciò che ha fatto, ha detto ciò che ha detto, perché noi non abbiamo reagito in un certo modo, etc. Insomma, è come essere bloccati in un vortice di pensieri negativi, senza che questo porti mai a una risoluzione di alcun tipo. Al contrario, l’esito è un incremento della tristezza e della rabbia. È un meccanismo a circolo vizioso che può continuare a farci soffrire anche per avvenimenti accaduti molti anni addietro. In psicoterapia si può essere aiutati a riconoscere queste “trappole” della mente, e imparare a disinnescarle.

Non si tratta di un’esortazione a dimenticare, né significa sopprimere il ricordo di ciò che è accaduto, ma smettere di provocarsi un’inutile sofferenza ripercorrendo continuamente nella propria mente ogni dettaglio dell’offesa e tormentandosi senza sosta sul perché le cose siano andate in quel modo e non altrimenti. È il ricordare “tossico” che dobbiamo abbandonare. Le ricerche dimostrano, a questo proposito, che le ruminazioni su eventi di vita negativi, come le offese subite, sono incredibilmente controproducenti per il benessere psico-fisico. Dunque, smettere di ruminare significa anche lasciar andare gran parte della sofferenza. Oggi abbiamo a disposizione fortunatamente molti strumenti per rendere più facile questo processo, come ad esempio la pratica della mindfulness, con solide basi scientifiche di efficacia, ormai molto utilizzata in ambito terapeutico individuale e di gruppo, ma anche per la promozione del benessere.

Dott.ssa Barbara Barcaccia
Psicologa e Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale
Didatta delle Scuole di Specializzazione APC e SPC
Docente di Accettazione e Mindfulness in psicoterapia presso la scuola di specializzazione in Neuropsicologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma
Docente in Tecniche del Colloquio Psicologico presso l’Università degli studi dell’Aquila
Curatrice, insieme al prof. Francesco Mancini, di “Teoria e clinica del perdono” Raffaello Cortina Editore

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