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La radioterapia per la cura del tumore della prostata: obiettivo qualità di vita

Il tumore prostatico rappresenta una delle più frequenti neoplasie della popolazione maschile.
Lo screening mediante dosaggio plasmatico del PSA è ad oggi molto controverso in rapporto alla sua dubbia utilità ai fini della riduzione di mortalità.
Molte diagnosi sono poste in fase di malattia molto precoce ma è noto dalla letteratura scientifica sull’argomento che questi tumori potrebbero rimanere in fase silente anche per decenni senza manifestazioni evolutive. La diagnosi precoce quindi potrebbe portare a azioni di sovra-diagnosi e conseguente sovra-trattamento di tumori che nella vita di un singolo individuo potrebbero non manifestarsi mai clinicamente.
Di fronte a una incidenza del cancro della prostata in costante crescita, la mortalità è rimasta pressoché invariata negli ultimi decenni e questo fa ritenere che la terapia della malattia in fase troppo precoce possa non essere giustificata.
Purtroppo però a seguito dell’ipotizzato sovra-trattamento, gli effetti collaterali indesiderati e spesso inevitabili della terapie possono incidere anche pesantemente sulla qualità di vita dei pazienti, in particolare più giovani, con sintomi genito-urinari e sessuali.
L’incontinenza urinaria e la disfunzione erettile, nonostante il miglioramento delle tecniche operatorie dapprima con la chirurgia “nerve sparing” e più recentemente con la robotica, sebbene nettamente ridotte, non possono essere completamente escluse sia breve tempo che a distanza dall’intervento di prostatectomia radicale.
Una situazione particolare è rappresentata dalla diagnosi di tumori piccoli a basso rischio come sono considerati quelli di piccole dimensioni (T1a-T2a) con Gleason ≤6 e PSA ≤ 10ng/ml. Per soggetti con questa presentazione di malattia, l’opzione della sorveglianza potrebbe essere probabilmente la prima scelta, ma sono poche le persone che accettano lo stress emotivo di una attesa, seppure vigile, nella conoscenza della diagnosi oncologica. D’altra parte l’intervento terapeutico, quasi sempre di tipo chirurgico, non è comunque privo di rischi e di effetti collaterali, ma quasi sempre scelto prescelto e consigliato di fronte alla paura del tumore.
La scarsa invasività della moderna tecnica radioterapica del tumore della prostata, rende la metodica concorrenziale con la chirurgia soprattutto nelle forme a basso rischio, consentendo di eradicare il tumore mantenendo l’integrità anatomica della regione vescico-prostatica.
Il tradizionale trattamento radiante del tumore prostatico prevede la somministrazione giornaliera di 5 frazioni a settimana per 40-45 sedute che quindi richiedono circa 8 settimane.
Oltre agli effetti collaterali principalmente sulle mucose della vescica e del retto, a svantaggio della radioterapia è sempre stato sottolineato il lungo tempo di trattamento necessario per somministrare la dose tumoricida adeguata con notevole disagio logistico-organizzativo per i pazienti.
Le nuove tecnologie radioterapiche guidate dalle immagini, IGRT (Image Guided RadioTherapy), tomoterapia, i diversi sistemi di radioterapia stereotassica, e le tecniche di modulazione dell’intensità del fascio di irradiazione (IMRT), consentono oggi di erogare la dose di irradiazione necessaria su volumi estremamente collimati risparmiando meglio gli organi sani circostanti. Al tempo stesso le maggiori conoscenze radiobiologiche permettono, a parità di efficacia, di somministrare dosi singolarmente più elevate con la conseguente possibilità di ridurre numero di frazioni giornaliere e una riduzione, talvolta anche molto significativa, della durata di tempo totale della cura. Questa modalità di somministrazione della radioterapia è nota con il termine di ipofrazionamento e già applicata con successo in altre patologie oncologiche come ad esempio nel tumore della mammella. È importante sottolineare che i regimi ipofrazionati non sono terapeuticamente inferiori a quelli convenzionali, nelle corrette indicazioni cliniche di selezionati pazienti.
Al recente Simposio ASCO GU (GenitoUrinario) 2016 sono stati presentati i risultati di un recente studio randomizzato comparativo su oltre 1000 pazienti con tumore della prostata a basso rischio, la metà dei quali trattati con il radioterapia eseguita con modalità convenzionale (41 frazioni di 1,8 Gy/die per una dose totale di 73.8 Gy in 8.2 settimane) e l’altra metà con ipofrazionamento (28 frazioni di 2,5 Gy per una dose totale di 70 gy in 5,6 settimane). Lo studio di “non inferiorità”, dopo un periodo di controllo di oltre 5 anni e mezzo, ha dimostrato che i risultati clinici, sia in termini di efficacia sia di effetti collaterali, sono assolutamente sovrapponibili fra i due gruppi.
La ricerca si sta ora però spingendo a ridurre ancora di più il numero di frazioni e il tempo totale del trattamento e proprio in questo nuovo scenario si pone un altro recente studio multicentrico, presentato allo stesso Simposio ASCO, condotto anch’esso su pazienti con tumore prostatico a basso rischio. Il trattamento prevedeva la somministrazione di sole 9 frazioni, una sola frazione di 5 Gy a settimana calcolata come radio-bioequivalente , per una dose totale di 45 Gy, senza associazioni di terapie ormonali anti-androgeniche. Dopo circa 7 anni di osservazione, nessuno degli 80 pazienti così trattati è deceduto per tumore della prostata, ma soprattutto non si sono evidenziati effetti collaterali acuti e tardivi superiori a quelli del trattamento convenzionale. in particolare in rapporto alle funzioni genito-urinarie, gastroenteriche e sessuali verificate con appositi e ripetuti questionari periodicamente compilati dagli stessi pazienti.
Questi incoraggianti risultati, seppure ancora preliminari,oltre alla sicurezza , l‘efficacia e la bassa tossicità della radioterapia prostatica ipofrazionata, offrono nelle forme iniziali a basso rischio opportunamente selezionate, una valida opportunità terapeutica.
L’impatto più favorevole sulla qualità di vita grazie alla conservata integrità anatomica e l’impegno temporale più che dimezzato con risvolti di facilitazione quotidiana logistico organizzativo e di vita sociale, sono nell’ottica dei pazienti gli aspetti più favorevole della radioterapia, che favoriscono questa opzione come alternativa alla invasività chirurgica.

Prof. Luigia Nardone
Specialista in Radioterapia
Specialista in Radiodiagnostica
Professore Aggregato dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma

Già Responsabile della Struttura Semplice di Radioterapia Senologica del Policlinico Universitario Agostino Gemelli Di Roma

foto.dr.ssa.nardone

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