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Le c.d. nuove “epidemie” cardiovascolari

Con l’aumento della vita media, che nel nostro Paese è arrivata ad 80aa per gli uomini e ancora oltre per le donne, le malattie cardiovascolari hanno preso la cattiva abitudine di accompagnarsi ad una serie di altre patologie, quali il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa sistemica, l’iperuricemia, le dislipidemie, le broncopneumopatie croniche, l’insufficienza renale cronica, che appunto dell’età avanzata fanno parte, ma che comunque incidono a vario titolo ed in vario grado sulla manifestazione cardiologica stessa.
E’ il caso di almeno tre espressioni cardiologiche, considerate “epidemie”, proprio per la loro elevata incidenza in una fascia di età avanzata, anche fra pazienti che non hanno sofferto in precedenza di vere e proprie malattie cardiache, quali la cardiopatia ischemica, reumatica, le cardiomiopatie, le malformazioni cardiache o turbe importanti della eccito-conduzione cardiaca.
Esse sono: la stenosi aortica degenerativa, la fibrillazione atriale nelle sue varietà, l’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ventricolare sinistra conservata.
A ben guardare però, anche queste c.d. epidemie muovono i loro passi sospinte da un fattore patogenetico che le accomuna, almeno nella fase iniziale del loro decorso: l’aumento della componente connettivale del miocardio, con la conseguente riduzione di elasticità.
Il tessuto collagene intramiocardico esiste normalmente in ogni cuore e serve a sostenere i fasci di fibre muscolari affinchè possano coordinarsi nei loro movimenti contrattili finalizzandoli al migliore rendimento funzionale globale dell’organo cardiaco. Questa architettura di sostegno connettivale è estremamente modulata in fibrille, fasci e veri piccoli tendini, che arrivano a collegare tra loro fino i singoli elementi contrattili muscolari del cuore.
In particolari condizioni questo tessuto di sostegno è spinto a crescere progressivamente per effetto cumulativo di stimoli fisici (quali l’aumento di lavoro miocardico), biologici (quali il cronicamente ridotto apporto di sangue per unità di volume miocardico, denominato ipossia), istochimici (ad azione diretta sui singoli fibrobroblasti, che costituiscono il tessuto collagene).
Il risultato finale sugli eventi che compongono il ciclo cardiaco è duplice: da un lato il muscolo cardiaco mantiene la sua forza contrattile o addirittura l’aumenta, assicurando così lo svuotamento sistolico del ventricolo e la portata cardiaca a riposo, a spese però di un rallentato rilasciamento muscolare per l’accresciuta rigidità diastolica di parete. Dall’altro lato il tessuto miocardico e quello connettivale hanno diversa capacità di trasmissione dello stimolo elettrico autogenerato dalle cellule del nodo seno-atriale, che coordina la ciclica attività contrattile del cuore: così, nella sottile muscolatura atriale si può manifestare facilmente polifocalità competitiva di eccitazione (fibrillazione atriale), mentre nella più spessa muscolatura ventricolare si possono verificare ritardi di conduzione intraventricolare dello stimolo (blocchi di branca completi o parziali).
Allora, però, non di una epidemia si tratta, nemmeno fra virgolette, ma semplicemente di più variegata evoluzione di un medesimo processo patogenetico, facilitato negli organismi umani anziani per la coesistenza di molteplici comorbidità.
Non ho mai dimenticato una bonaria lavata di capo che mi fece Luigi Condorelli, dopo che mi ero dilungato nel descrivergli la febbre di un paziente: “Figliolo, questa si chiama febbre intermittente quotidiana, non servono altre parole. In Medicina, ricordati, usa sempre la terminologia esatta. Eviterai tante confusioni.”

Dott. Giancarlo Gambelli
Specialista in Cardiologia
Già Primario Cardiologo Ospedale G.B. Grassi – Roma

foto.dott..g.gambelli

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