Corpo e mente sono strettamente correlati tra loro e affrontare una diagnosi di malattia con un atteggiamento di speranza può fare la differenza. Questa è la convinzione che accomuna tutto lo staff di medici, psicologi e altre figure che collaborano all’interno dell’Associazione Gemme Dormienti Onlus e che quotidianamente incontrano giovani donne alle quali è stato diagnosticato un tumore o un’altra malattia cronica invalidante. Per sostenere le pazienti, soprattutto in un momento particolarmente delicato dell’esistenza come quello dell’inizio delle terapie, l’Associazione offre un servizio di consulenza gratuita avvalendosi della collaborazione della Dott.ssa M. Rosaria Lustrissimi, psicoterapeuta e psiconcologa di formazione junghiana. Le abbiamo rivolto alcune domande per capire cosa si intende per “cura integrata”.
D – Perché è importante avere una visione onnicomprensiva dell’assistenza, quindi non solo cura sanitaria ma anche psicologica?
R – Illustri esponenti del mondo scientifico e della cultura contemporanea sottolineano, sempre più, come il compito e l’impegno della medicina non siano solo di curare la malattia, piuttosto è indispensabile prendersi cura della persona nella sua interezza. La malattia, in generale, ci mette in crisi, ci interroga obbligandoci a cercare, a cambiare, a instaurare nuovi equilibri che soppiantano quelli passati non più efficaci. Tutto ciò si amplifica quando si deve affrontare una diagnosi di tumore: si spalanca un vuoto nel fluire dei significati della propria esistenza, un limbo senza tempo, un presente sospeso dove si fa sempre di più strada la domanda di senso. Nell’ambito oncologico, l’Associazione Gemme Dormienti si occupa di un tema nuovo, complesso, ricco di sfaccettature e di sfumature, specialmente di ordine psicologico. Ci prendiamo cura di donne affette non solo da una malattia cronica o autoimmune, ma anche di quelle che hanno avuto una diagnosi di cancro e che direttamente, a seguito degli organi colpiti, o indirettamente, a seguito delle cure, vedono compromessa la loro capacità riproduttiva. Prospettiamo loro, attraverso la crioconservazione del tessuto ovarico e degli ovociti, la possibilità, in un tempo futuro, di diventare madri. Il tema è molto delicato e per noi è necessario conoscere primariamente le condizioni psicologiche della paziente di fronte alla malattia e alle sue eventuali problematiche ma, soprattutto, è indispensabile far luce sui vissuti, sul grado di consapevolezza rispetto al senso e al significato della malattia e delle sue conseguenze. In questo senso nella nostra Associazione, all’interno del percorso clinico stabilito, sono previsti, sempre a titolo gratuito, tre colloqui psicologici.
D – Perché è importante fornire al paziente anche un sostegno psicologico?
R – Occorre dare risposte giuste alle esigenze emozionali e spirituali dei pazienti e dei loro familiari, spesso purtroppo i servizi sanitari tendono a sottovalutare, se non addirittura a negare, tali necessità e ciò anche per fattori culturali. È importante quindi valorizzare l’identità del paziente attraverso il recupero di una coscienza dei propri bisogni esistenziali, che spesso la malattia tende a mascherare e, soprattutto, favorire, la relazione con il medico/psicologo. Fino a qualche tempo fa, andare dallo psicologo o dallo psichiatra era qualcosa di cui si aveva un profondo pudore, doveva essere nascosto perché ci si vergognava. Da diverso tempo invece i media, attraverso il cinema o attraverso la partecipazione di ospiti illustri ai talk show televisivi del momento, hanno “sdoganato” la psicoterapia. Questo è un bene, però credo che il problema sia un altro: certamente non è possibile affrontare né, tanto meno, liquidare superficialmente la questione se non si tiene conto del radicale mutamento del contesto culturale e sociale.
D – Perché è importante che le donne che si rivolgono alla vostra Associazione, con le problematiche e i disagi di cui prima abbiamo parlato, siano rese consapevoli di ciò che la tecnica permette loro di ottenere?
R. Ci troviamo ad affrontare nuove tematiche che richiedono risposte dal punto di vista sociale sempre più urgenti, a cominciare da etica e bioetica. Pur riconoscendo alla tecnica dei grandi meriti, c’è tuttavia il rischio di illudersi che la tecnologia possa salvare noi stessi e la nostra specie. Una donna malata che si presenta presso la nostra Associazione ha la possibilità, come sappiamo, di vedere congelata, in senso letterale, la sua potenzialità di diventare madre attraverso il prelevamento della propria cellula ovocita. Quindi, questa opportunità data alla donna dalla tecnica, se non accompagnata anche da un cammino psicologico, rischia, sul piano mentale, di sostanziare quel processo che noi psicologici conosciamo bene, che si chiama dissociazione o scissione. Ovvero, di fronte a un disagio, più o meno lieve, la psiche si difende e l’unità della personalità può essere frantumata. Il setting psicoterapeutico in tal senso, offre alla persona, lo spazio fisico e mentale per riflettere, ascoltarsi, per poter ricomporre dentro di sé quell’unità, prima scissa, che è costituita di materia e di psiche.
Raffaella Sirena
Giornalista freelance