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“Lo faccio domani”, quella (dannosa) tendenza a rimandare gli impegni

Quante volte ci si riempie la mente di scuse mentre gli impegni si accumulano, le scadenze si avvicinano e il malessere aumenta? “Lo faccio domani”, si tende spesso a pensare. Con il rischio, però, di ritrovarsi con l’acqua alla gola e di fronte a due sole possibilità: abbandonare l’impresa, oppure costringersi a sforzi sovrumani per raggiungere lo scopo prefissato. Si chiama ‘procrastinazione’ (dal latino: pro- a favore di, e crastinus– di domani) quel comportamento che porta a rimandare intenzionalmente un’azione che è nel proprio interesse svolgere nell’immediato. I procrastinatori, spesso, scelgono il piacere istantaneo a discapito di gratificazioni successive ben più consistenti, seguendo quel processo che Piers Steel, massimo esperto sul tema, definisce di “accumulo dei debiti sulla carta di credito emotiva”: Le conseguenze in questo modo non si pagano subito, ma il conto andrà comunque saldato. E con interessi ben maggiori.

Ma cosa spinge una persona a rimandare ciò che è sua intenzione fare? Da un punto di vista neurobiologico, alla base della procrastinazione sembrerebbe esserci una minore attivazione in termini di corteccia prefrontale, quella zona del sistema nervoso deputata all’organizzazione e alla pianificazione delle azioni.

Sono state poi individuate caratteristiche personali differenti. Non si tratta di pigrizia o di voler evitare un compito che, seppur sgradevole, prima o poi andrà svolto. Piuttosto, si tratta spesso di impulsività: la persona impulsiva, infatti, difficilmente riesce a soffermarsi sui benefici a lungo termine perché catturata da quelli immediati e facilmente si dedica ad altro perdendo di vista l’obiettivo iniziale. Per i ‘sensation-seekers’, coloro che ricercano forti emozioni, la scelta di rimandare un’attività è invece funzionale ad aggiungere piacevolezza ad un compito altrimenti noioso e faticoso.

Le persone che temporeggiano, però, sono anche quelle che vogliono svolgere un compito alla perfezione, oppure quelle che hanno scarsa fiducia nelle proprie capacità, ritenendo che le proprie azioni non cambieranno la propria condizione. Soprattutto in relazione alla propria autostima, allora, la procrastinazione è utilizzata come strategia di auto-sabotaggio: dopo aver procrastinato, infatti, un eventuale insuccesso potrebbe facilmente attribuirsi a cause esterne piuttosto che ad un proprio fallimento (“Non sono io a non esserci riuscito, ma il tempo a disposizione ad essere poco”). Infine, il rimandare potrebbe essere visto come un modo per affermare la propria autonomia, attraverso una modalità passivo-aggressiva: un tentativo di esprimere la propria volontà quando non si riesce a farlo diversamente.

Al di là dei motivi che spingono a procrastinare, si stima che le conseguenze associate a questo comportamento si riflettano in termini economici, di stress, salute e perdita di opportunità. Come si può contrastare questo fenomeno? A venire in aiuto ai ‘temporeggiatori’ è la terapia cognitivo-comportamentale che, partendo dall’individuazione dei pensieri automatici che ostacolano l’azione, lavora attraverso una precisa pianificazione degli obiettivi. Certamente non è facile smettere di procrastinare e rinunciarci, quando diventa un’abitudine, è quasi impossibile. Del resto già nel 1490 Lorenzo de’ Medici scriveva: “Chi vuol esser lieto, sia: di doman non v’è certezza”. E forse è il caso di rifletterci su.

Dott.ssa Cristina Salvatori 
Psicologa clinica

Associazione di Psicologia Cognitiva e Scuola di Psicoterapia Cognitiva
www.apc.it

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