Secondo Selye, la risposta fisiologica di un individuo allo stress può essere suddivisa in tre fasi di risposta allo stress, definite “Sindrome generale di adattamento” (Selye, 1950; 1976). In primo luogo, l’organismo percepisce lo stimolo, una nuova condizione. Questa percezione attiverà la fase di “allarme”, in cui l’organismo deve mobilitare risorse energetiche. In questa fase di stato di allarme quindi i sistemi endocrini dovranno affrontare rapidamente i fattori stressanti. Una produzione di catecolamine, come adrenalina e noradrenalina prodotte dal sistema simpatico, con conseguenti maggiore tono muscolare, aumento della pressione sanguigna e mobilitazione di risorse energetiche permette una risposta adeguata allo stress, cioè la risposta “fight-or-flight” (lottare o fuggire) descritta da Cannon e De La Paz (1911). In secondo luogo, la fase di reazione allo stress chiamata resistenza. Essa consiste in una risposta più lenta durante la quale l’organismo tenta di resistere allo stress (mediante l’attivazione di sistemi neuroendocrini) e di ripristinare il suo equilibrio, omeostasi. Alla fine, se lo stress persiste, vi è una terza fase di esaurimento che potrebbe portare a uno stato patologico. L’organismo è esaurito dalla prima aggressione e ogni nuovo stimolo negativo diventa una sfida. Mentre la risposta ad un’esposizione acuta allo stress può essere utile per la difesa dell’organismo, l’esposizione ripetuta ad eventi stressanti potrebbe sovraccaricare il sistema di difesa. La risposta allo stress richiede molta energia e per essere efficiente ha bisogno dell’attivazione fisiologica del sistema endocrino con un’adeguata regolazione del feedback.
Il concetto che l’organismo deve ritrovare l’equilibrio dopo l’esposizione allo stress è stato riconsiderato alla fine degli anni ’80. Di fronte al concetto di omeostasi, dove l’equilibrio è visto come costante e uguale a se stesso, Sterling e Eyer (1988) hanno introdotto una nuova prospettiva in cui la risposta allo stress consiste nel cambiare lo stato attuale per raggiungerne uno diverso e hanno proposto quindi il concetto di “allostasi”. Questa nuova concezione suggerisce che, se è necessaria una regolazione fine dello stress, ciò non implica necessariamente un ritorno alla costanza ma invece richiede un processo adattativo del tipo “rimanere stabile pur essendo variabili” (Sterling e Eyer, 1988). L’allostasi diventa allora un processo fondamentale per l’organismo al fine di adattarsi a eventi prevedibili e imprevedibili. Tuttavia, la persistenza di eventi avversi può portare a discrepanze nella capacità dell’organismo di far fronte allo stress e ad una inadeguata risposta fisiologica che è energeticamente molto costosa, vale a dire un “carico allostatico” seguito da un “sovraccarico” (McEwen, 1998). Questo pone le basi per la comparsa di disturbi legati allo stress, coinvolgendo in particolare il sistema cardiovascolare e immunitario (McEwen e Stellari, 1993).
Dott.ssa Eleonora Gatta
Neurobiologo
Dottorato – Unité de Glycobiologie Structurale et Fonctionnelle
Laboratorio Internazionale Associato “Stress Perinatale e Malattie Neurodegenerative”
Gruppo Glicobiologia delle Patologie legate allo Stress
Università di Lille 1
FRANCIA