Rivista medica online
rivista-online

Violenza di genere e femminicidio,ma perché le donne non se ne vanno?

Non è la passione a generare in un uomo azioni violente verso la propria compagna, lo scopo della violenza è il dominio. Il processo attraverso cui un uomo impone il proprio dominio su una donna è graduale e non si fonda esclusivamente sull’uso della forza fisica, in assenza di violenza psicologica non può esserci, infatti, violenza fisica. Nessuna donna accetterebbe certi tipi di maltrattamenti se questi non fossero preparati da un graduale processo di plagio e condizionamento, metodologie di controllo simili a quelle che le sette operano nei confronti dell’adepto.

Ma perché le donne non se ne vanno? La risposta risiede nel circolo della violenza, che tiene insieme, attraverso legacci strettissimi, la vittima con il carnefice.

Le donne vittime di violenza non presentano caratteristiche masochistiche, non desiderano, inconsciamente, gli abusi che ricevono, sono, piuttosto, immobilizzate nelle maglie della violenza psicologica, che ha l’effetto, da un lato di farle sentire in colpa per quanto accade, dall’altro impotenti di poter avere un destino diverso. L’uomo violento rimanda continuamente alla donna di essere la causa della sua reazione spropositata, di averlo fatto arrabbiare e, spesso, la persuade di meritare le umiliazioni e le percosse che le vengono inflitte.

Le botte non arrivano all’improvviso, sono preannunciate da piccole molestie, che possono non sembrare apertamente ostili, in quanto di bassa intensità. Tale imposizione del dominio viene, talvolta, percepita come prova dell’interesse o dell’amore dell’altro. Lentamente le donne perdono spirito critico e, attraverso un processo di abituazione agli stimoli violenti, inizieranno a valutarli come normali. Inoltre, la valutazione del gesto dell’altro come non intenzionale impedisce alle donne di realizzare e, quindi, di protestare, all’atteggiamento violento del partner. Non è infrequente che le donne riferiscano: “Non l’ha fatto apposta, lui mi ha solo spinto, sono io ad essere caduta!”.  La percezione di non intenzionalità del gesto comporta un rallentamento nella presa di coscienza di quanto sta accadendo. Parallelamente più aumentano gli episodi di violenza, più la donna si sente insicura.

Il processo di plagio si struttura attraverso due fasi, quello della seduzione e quello della minaccia. L’incontro viene spesso descritto come un momento idilliaco, nel quale il partner si mostra innamorato e premuroso e talvolta cerca di attivare in lei l’istinto di accudimento, raccontando, ad esempio, della infanzia sfortunata. Le premure e atteggiamenti affettuosi caratterizzano, in maniera intermittente, la relazione, rendendo la donna ancora più confusa.

Il plagio è un processo lento che passa attraverso l’isolamento e la messa in dubbio delle proprie capacità e l’abuso fisico arriva dopo la seduzione, la persuasione, la manipolazione e, a volte, la coercizione. A queste forme di controllo, va aggiunta anche l’induzione del senso di colpa e della paura, attraverso la minaccia del suicidio o dell’allontanamento dei figli, in caso di separazione.

Quando una persona percepisce di non avere il potere di modificare l’ambiente circostante, entra in una condizione chiamata di “impotenza appresa”, condizione che si riscontra anche negli animali e che è possibile riprodurre sperimentalmente in laboratorio. Si tratta di uno stato di completa passività e di incapacità a trovare soluzioni, che blocca la donna e le impedisce di sottrarsi alla violenza, chiedendo, ad esempio, aiuto.

La dinamica tra donna e partner violento comporta in taluni casi l’obbligo a non mettere in atto alcuni comportamenti, in altri la donna sceglie attivamente di rinunciare, ad esempio, ad uscire o ad abbigliarsi in modo solito, per prevenire la lite. Ciò comporterà, per la donna, uno sfaldamento progressivo nel proprio senso di sé, con una conseguente riduzione della propria autostima, una ridotta capacità di problem solving e maggiori dubbi, quindi una sempre minore probabilità di lasciare il partner violento.

Un’indagine condotta a livello europeo (Dato dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali su un campione di 42000 donne) rileva che il 33% delle donne intervistate è stato vittima di violenza fisica e/o sessuale e che circa il 5% abbia subito uno stupro dall’età di 15 anni. In Italia ogni due giorni una donna muore per il solo fatto di essere donna, per mano di uomini, che presentano vulnerabilità psicologiche specifiche, influenzate sia dall’educazione che dall’ambiente sociale. Come afferma Marie-France Hirigoyen: La vulnerabilità psicologica in assenza di una facilitazione sociale non basterebbe a rendere un uomo violento. Fin dalla nascita, ai maschi viene suggerito di dover occupare una posizione di dominanza e di dover frustrare le manifestazioni di debolezza, soprattutto emotiva. Quando si allontanano dal nucleo familiare, sentono, in alcuni casi, di non essere in grado di ricoprire il ruolo che, socialmente e familiarmente, è stato loro assegnato e, inoltre, di non poter manifestare le loro debolezze e frustrazioni, che riversano, attraverso la violenza, sulle compagne.

Le vie da percorrere per porre fine al fenomeno della violenza di genere sono diverse, partono dall’abolizione degli stereotipi sessuali a livello sociale, passano attraverso un cambiamento nell’educazione familiare e si basano su comprovati programmi psicoterapeutici per affrontare le vulnerabilità psicologiche e la dipendenza sia della vittima che del carnefice.

Dott.ssa Katia Tenore
Psicologa e Psicoterapeuta
Didatta presso la Scuola di Psicoterapia Cognitiva di Roma
www.apc.it

foto.tenore

Share This: