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Le infezioni nei pazienti con emopatie maligne

Nonostante il rilevante miglioramento ottenuto nella gestione delle infezioni in pazienti affetti da Emopatie maligne, queste rappresentano una frequente complicanza che è gravata da elavata morbilità e mortalità, con rilevante influenza sui costi di gestione del paziente e sulla sua qualità di vita.
L’oncologia medica e con essa l’Ematologia, costituiscono le specialità di Medicina Interna che maggiormente hanno modificato la pratica medica negli ultimi anni attraverso la continua introduzione e il continuo miglioramento di farmaci per il trattamento di patologie prima considerate incurabili o curabili solo con la terapia locale come la chirurgia o le radiazioni.
Fin dalle prime esperienze è apparso evidente che la Chemioterapia costituiva un mezzo dotato di potenziale capacità di cura definitiva sui tumori, e comunque di grande efficacia se associata ad altri tipi di terapia già in uso, quali la chirurgia e la radioterapia.
Il miglioramento nell’impiego di farmaci antitumorali sono stati il risultato di numerosi fattori, tra cui:
1) La somministrazione dei farmaci viene oggi iniziata più precocemente, spesso in associazione a terapia radiante o a interventi chirurgici, per trattare le patologie maligne nel momento in cui queste sono più curabili e il paziente è più in grado di tollerare il trattamento;
2) La disponibilità del fattore di stimolo delle colonie granulocitarie ha abbreviato il periodo di leucopenia dopo una chemioterapia ad alto dosaggio, migliorando la sicurezza dei regimi che compromettono il midollo osseo e riducendo l’incidenza delle infezioni;
3) Una migliore conoscenza dei meccanismi di resistenza delle cellule tumorali alla chemioterapia ha portato all’introduzione di schemi terapeutici più razionali e all’impiego più precoce di terapie intensive.
Il principale effetto tossico della chemioterapia antiblastica è rappresentato dalla depressione midollare e dalla conseguente citopenia ematologica; il progressivo incremento dell’aspettativa di vita della popolazione ed il progressivo miglioramento dell’età biologica, oltre all’aumento della sopravvivenza media dei pazienti con malattie ematologiche maligne, ha portato ad un aumento dei soggetti ad alto rischio di sviluppare gravi complicanze infettive; solo pazienti che precedentemente ricevevano regimi di tipo contenitivo/palliativo sono stati considerati eleggibili a regimi chemioterapici intensivi, caratterizzati da un incremento della dose dei farmaci somministrati, della durata e del numero dei cicli di trattamento. Tutto questo ha visto aumentare la tossicità e l’aggiunta di nuovi farmaci mirati come gli anticorpi monoclonali e gli agenti ipometilanti ha determinato un incremento delle categorie di pazienti a rischio infettivo.
I principali fattori di rischio per lo sviluppo di infezioni in pazienti affetti da emopatie maligne sono rappresentati da: NEUTROPENIA, RIDUZIONE DELLA FUNZIONE DELLA IMMUNITA’ CELLULARE E UMORALE, LA RIDUZIONE DELLA FUNZIONE DI FILTRO DELLA MILZA, L’UTILIZZO DI ELEVATE QUANTITA’ DI STEROIDI, LA MALATTIA EMATOLOGICA DI PER SE’, L’ALTERAZIONE DELLE BARRIERE CUTANEO-MUCOSE.
Da molti anni la Neutropenia è stata considerata uno dei più severi fattori di rischio per lo sviluppo di infezioni in pazienti ematologici; un numero assoluto di neutrofili < 1000/mm3 e una durata > 10 giorni sono associati ad un rischio molto alto di sviluppare infezioni.
Le infezioni in un paziente ematologico compromesso da regimi chemioterapici intensivi sono di tipo Batterico, Fungino, Virale.
Un aumento della carica batterica nel sangue, BATTERIEMIA, è responsabile del 25% degli episodi febbrili osservati nei pazienti ematologici. Negli ultimi anni studi Epidemiologici hanno dimostrato una significativa e progressiva modificazione della eziologia delle batteriemie con aumento dei batteri Gram- come cause delle Iperpiressie dei pazienti e riduzione dei Cocchi Gram+.
Tra il 40 e il 50% delle batteriemie Gram- nei pazienti neutropenici e febbrili è causato da Escherichia Coli: una precoce diagnosi di tale infezione è estremamente importante per la scelta del trattamento antibiotico empirico; un trattamento non appropriato può essere causa di elevata mortalità, laddove un appropriato trattamento riduce la stessa a meno del 10% dei casi trattati.
L’incidenza di infezioni fungine invasive (IFI) è elevata (10-30%) per i pazienti affetti da Leucemia Mieloide Acuta (LMA) e per i riceventi un trapianto allogenico, mentre nelle altre malattie ematologiche maligne l’incidenza di IFI è minore (2-6%). Tuttavia è particolarmente difficile l’approccio clinico e terapeutico alle IFI per il continuo cambiamento dell’epidemiologia e per gli scarsi progressi degli strumenti diagnostici; l’incidenza di tali infezioni non solo è aumentata, ma i pazienti vengono colpiti sempre più precocemente da specie fungine nuove che si stanno rivelando sempre più potenzialmente patogene. Le infezioni micotiche sono determinate principalmente da Candida e da Aspergillus, ma altri funghi, un tempo considerati semplici contaminanti, stanno sempre più assumendo un ruolo preponderante nello sviluppo di infezioni caratterizzate da quadri clinici severi. I pazienti ad alto rischio, specie quelli con LMA e quelli sottoposti ad allotrapianto di cellule staminali, necessitano di importanti misure profilattiche che sono basate principalmente su tre aspetti:
1) correlazione tra colonizzazione e successivo sviluppo di IFI; 2) elevato costo economico della terapia di una IFI sospetta o confermata rispetto alla profilassi; 3) impatto prognostico della profilassi.
Il principale svantaggio della profilassi è rappresentato dall’esposizione di numerosi pazienti che potrebbero non aver bisogno di alcuna terapia antifungina, all’esposizione a farmaci e alla possibile emergenza di ceppi fungini resistenti ai trattamenti. La terapia empirica antifungina è una terapia considerabile profilattica, che si applica a quei pazienti che non presentano sintomi clinici di infezione micotica ma con febbre persistente (48-72 ore) e resistente ai comuni farmaci antibatterici che ha il vantaggio un rationale legato al fatto che la febbre è spesso l’unico segno di IFI e che le IFI clinicamente occulte, specie quelle secondarie ad infezioni da Candida e Aspergillus sono identificate in corso di autopsie ma l’aspetto negativo di esporre una elevata percentuale di pazienti ad un trattamento antifungino non necessario perché l’IFI non è presente.
La terapia pre-emptive antifungina è una strategia che si applica al paziente ad alto rischio di IFI con febbre persistente che non risponde alla terapia antibatterica, con positività al galattomannano (GM), una colonizzazione fungina o sintomi/segni polmonari/sinusali o segni radiologici compatibili con una IFI. L’impossibilità della maggior parte dei pazienti affetti da neoplasie ematologiche ad essere sottoposti ad interventi invasivi a scopo diagnostico, ha spinto molti ricercatori ad identificare ed utilizzare strumenti diagnostici non invasivi, come la TAC o strumenti microbiologici come il GM o il b-glucano (BG), anche se la mancanza di un criterio di riferimento per la diagnosi di IFI ha costituito uno dei principali ostacoli alla realizzazione di studi clinici controllati. Per tale motivo, l’EORTC (Organizzazione Europea per la Ricerca e la Cura del Cancro) e l’MSG (gruppo di Studio per le Micosi) hanno pubblicato nel 2002 e successivamente nel 2008 le Linee Guida per la diagnosi di IFI. Tali definizioni richiedono la presenza di fattori legati all’ospite (tipo di malattia di base), oltre che la presenza di fattori clinici, radiologici e microbiologici (compresi esami colturali e sierologici). Tali definizioni hanno avuto lo scopo di individuare e di caratterizzare gruppi relativamente omogenei di pazienti partecipanti a studi clinici e questo può ripercuotersi sia sulla fattibilità della sperimentazione clinica e sia sulla conoscenza e gestione delle IFI con conseguenti scarsi risultati terapeutici.
Fino a pochi anni fa si riteneva che le infezioni virali a carico di pazienti con emopatie maligne fosse a carico dei pazienti riceventi un trapianto allogenico di cellule staminali; l’introduzione di nuovi farmaci come gli anticorpi monoclonali ha prodotto un notevole incremento del rischio di riattivazioni di infezioni virali sia di tipo erpetico sia di tipo epatitico. Nonostante i continui miglioramenti diagnostici e terapeutici l’infezione da Citomegalovirus (CMV) rimangono una delle principali cause di morbilità e mortalità per i pazienti con trapianto ed emopatie linfatiche con un’incidenza di infezioni e malattia variabile a seconda della patologia ed un impatto caratterizzato sia da manifestazioni cliniche dirette (polmonite, malattie gastrointestinali, insufficienza midollare, retinite), sia da manifestazioni cliniche indirette, come un’aumentata incidenza di infezioni opportunistiche ed una ridotta sopravvivenza.
Pertanto nonostante i rilevanti progressi diagnostici e terapeutici, la morbilità e mortalità associate alle infezioni che colpiscono i pazienti con emopatie maligne sono elevate. Poichè molteplici difetti immunitari e fattori di rischio possono coesistere, la terapia empirica dovrebbe essere a largo spettro: le future generazioni di tests di laboratorio dovrebbero consentire terapie più mirate di quelle attuali.

Dott. Pietro Falco
Specialista in Ematologia Clinica
Master in Terapia del Dolore
Master in Ecografia Clinica

Co-responsabile Centro Trombosi F.C.S.A. “Centro Medical Pontino” di Latina
Specialista Ematologo Ospedale Israelitico di Roma.
Specialista Ematologo Poliambulatorio “Fisiomed” di Priverno (LT)
Referente S.I.S.E.T. (Società Italiana Studio Emostasi e Trombosi) Regione Lazio

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