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“Dottore, ma se volessimo avere un altro figlio…?”

Nella mia attività di foniatra, in una quotidianità che mi trova in contatto costante con il mondo dell’autismo e di patologie simili, mi capita non di rado di sentirmi rivolgere da parte di diverse coppie di genitori di bambini autistici, questo tipo di domanda: “Dottore, stavamo pensando alla possibilità di avere un altro figlio, di dare un fratellino o una sorellina al nostro… affetto da autismo; però temiamo che possano esserci maggiori fattori di rischio, e di conseguenza abbiamo paura che anche il secondogenito possa avere dei problemi, degli handicap. Lei che cosa ci consiglia?”

In queste ormai frequenti situazioni, sono solito orientare in questo modo la mia risposta:

“I problemi del vostro bambino o della vostra bambina, possono derivare da diverse e numerose cause, alcune delle quali potrebbero appartenere al vostro bagaglio genetico, altre invece no. Se si potesse stabilire con certezza che le lesioni cerebrali di vostro figlio, e relative conseguenze, siano maturate dopo la nascita, e per cause esterne, potrei affermare che non correte rischi in misura diversa o maggiore di quelli che possono incombere su altre coppie di genitori che non hanno già un bambino con handicap.

In realtà, però, dobbiamo considerare che:

  •  L’autismo e altre patologie simili, non hanno mai una sola certa e definibile origine. Ho sempre sostenuto che “non c’è il gene dell’autismo”, ma tanti geni (migliaia, milioni) possono predisporre un individuo a non sviluppare adeguatamente le future abilità linguistiche, comunicative, relazionali, comportamentali…; così come possono predisporlo ad essere meno resistente (per esempio sul piano immunologico) agli effetti lesivi di agenti esterni, quali farmaci, metalli tossici, alimenti…, che su alcuni bambini potrebbero risultare innocui, su altri potrebbero avere invece effetti lesivi.
  • Statisticamente, in famiglie in cui ci sono persone con neuropatie centrali, come l’autismo, l’epilessia, la sindrome ipercinetica, la schizofrenia, altre psicosi…, l’incidenza percentuale di altre manifestazioni neurologiche è più elevata. Allo stesso tempo, non tutte le coppie che hanno avuto figli con handicap, ne hanno generati altri con problemi, per cui non esiste una premessa matematica assoluta, ma solo un indicatore statistico di maggiore rischio potenziale.
  • Non credo al significato e alla reale possibilità di identificazione preventiva di danno embrionale o fetale, di indagini solitamente svolte in gravidanza, quali analisi di sangue, ecografie, amniocentesi. Non ci credo perché le ipotetiche alterazioni identificabili con tali procedure, costituirebbero un milionesimo di tutte quelle che possono verificarsi al di fuori di quelle poche individuabili con le indagini attualmente disponibili.

Vi consiglierei pertanto di decidere se tentare di avere un altro figlio, sapendo che esistono potenzialmente fattori di rischio globalmente maggiori di quanto possono essercene per chi ha avuto bambini non portatori di handicap; ma allo stesso tempo non ci sono dati concreti per cercare garanzie e certezze.

Nel caso doveste diventare nuovamente genitori, la vera e più concreta forma di prevenzione potrà consistere nel far monitorare frequentemente (ma serenamente) lo sviluppo neuropsicomotorio e linguistico del bambino, sin dai primi mesi di vita, non solo con il metro e la bilancia, ma anche e soprattutto con le tabelle di sviluppo psicomotorio e del linguaggio, onde poter intervenire immediatamente ai primi segni di una devianza dalla normalità”.

 

Prof. Massimo Borghese
Specialista in Foniatria
Specialista in Otorinolaringoiatria
Verona  Milano  Napoli  Genève (Suisse)
Tel. +39 3404810840
m.borghese@tin.it
www.massimoborghese.it

foto.dr.m.borghese

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